Musei Palazzo dei Pio
Piazza dei Martiri, 68
Carpi (MO)
ambito romano
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 128 (a) 181.50 (la)
sec. XVII (1650 - 1699)
n. A/ 107
Tela incorniciata da un semplice listello in legno.
La scena è ambientata tra edifici e architetture classiche: sotto lo sguardo paterno e di altri astanti, scende da una scalinata il giovane figlio, pronto per partire, mentre un servitore gli prepara un cavallo. Il giovane indossa una veste corta su calzamaglia e un copricapo piumato, evidenti segni di ricchezza e prestigio. Sul fondo la carovana dei servitori che caricano i bagagli sugli animali e la veduta della cittadina con edifici circolari ed obelischi.

Questo dipinto costituisce serie unitaria, sia per iconografia sia per stile, con altri tre ugualmente conservati al Museo Civico e inventariati come A/108, A/56, A/57. Narrano la parabola del "Figliol prodigo" in quattro episodi e sono la fedele trasposizione di quattro incisioni inventate e realizzate dall'artista Pietro Testa intorno al 1640 (cfr. P. Bellini, L'opera incisa di Pietro Testa, Venezia, 1970, pp. 54-56, nn. 21-24).
Originariamente nella collezione di Giulio Franciosi, vengono da questi donati al Museo nel 1907.
Dopo la prima campagna di schedatura operata sui dipinti del Museo Civico, vengono attribuiti da Carlo Ragghianti nel 1940 a due differenti artisti: un primo, di ambito cinquecentesco bolognese, avrebbe eseguito i dipinti raffiguranti la partenza e il ritorno del figliol prodigo; un secondo, più tardo, seicentesco ma sempre emiliano, i rimanenti due con le scene della guardia ai porci e del banchetto finale (1940, sch. 48).
Dopo il restauro del 1976 i quattro dipinti vengono pubblicati da Garuti che ribadisce la tesi delle diversità stilistiche, frutto di due mani differenti, ma li assegna tutti al`600 bolognese, con richiami all'arte di Domenichino (A. Garuti, 1976, p. 73).
Solo la più recente conoscenza dell'arte incisoria di Pietro Testa ha permesso di individuare la fonte iconografica e circoscrivere periodo e maniera d'esecuzione, assegnando le quattro tele ad artista di scuola romana seicentesca (A. Garuti, 1990, p. 51).