tavola/ pittura a olio
sec. XVI (1512 - 1515)
La scena dell'annuncio a Maria si svolge all'interno di un ambiente pavimentato a scacchiera nei colori del rosa e del grigio e arredato da una struttura lignea a parete, composta da una panca con schienale rivestito in velluto verde e, nella parte superiore, da una nicchia con struttura rettangolare, delimitata da lesene alle estremità, e da due sportelli aperti sul davanti, che lasciano intravedere alcuni oggetti contenuti all'interno. Mentre a destra un tendaggio verde chiude lo spazio interno, a sinistra la parete si apre verso l'esterno, lasciando penetrare la luce dello spirito divino in forma di colomba. In primo piano, a destra, la Vergine sta inginocchiata in atteggiamento di accoglienza con le mani unite al petto, vestita da un abito rosa acceso e da un manto celeste che tiene anche sul capo. A sinistra appare a lei l'angelo, dalle ali variopinte e dalla veste bianca panneggiata con collo e polsi rosa cangiante: è in atto benedicente e con la sinistra porge un giglio.
L'opera ha avuto costanti attenzioni da parte della critica specializzata.
Il primo studioso a ricondurre il dipinto all'arte del veneziano Vincenzo Catena (1480 ca./ 1531) è Bernard Berenson nel 1905 (B. Berenson, 1905, p. 158), dopo altalenanti attribuzioni ottocentesche ai carpigiani Bernardino Loschi e Marco Meloni, e a scuola bolognese nell'ambito di Francesco Francia (H. Semper, 1882, p. 60; E. Tirelli, 1900, p. 41; A.G. Spinelli, 1902, p. 15). Rifiutando la tesi del Berenson, prima Corrado Ricci, poi Adolfo Venturi, infine Roberto Longhi ritornano a riferire l'opera ad area emiliano-romagnola, verso i modi del forlivese Giovanni del Sega, variamente impegnato alla corte carpigiana di Alberto Pio (C. Ricci, 1911, p. 98; A. Venturi, 1913, pp. 86-88; R. Longhi, 1914, p. 214). Al contrario, successivamente, altri studiosi stranieri hanno condiviso l'attribuzione al Catena, fino all'intervento di Robertson nella monografia sull'artista veneziano (G. Robertson, 1954, p. 51) e di Alfonso Garuti, che nel 1976 pubblica il dipinto dopo gli interventi di restauro (A. Garuti, 1976, pp. 27-29).
L'opera è divenuta proprietà del Museo Civico nel 1903, proveniente dai depositi dell'Ospedale degli infermi di Carpi, dove era giunta nel 1875, in seguito alla distruzione dell'originaria sede, l'antica Chiesa di S. Maria dei Bastardini.