Museo Civico di Modena
Largo Porta S.Agostino, 337
Modena (MO)
Lana Ludovico
1597/ 1646
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 167 (la) 120 (a)
sec. XVII (1617 - 1636)
n. 40
Alla grande fortuna del poema tassesco in epoca seicentesca deferisce questo dipinto, che mostra Tancredi soccorso da Erminia e dal fido Vafrino, mentre nel fondo compare il cadavere di Argante, ucciso in duello dall’eroe cristiano (Gerusalemme liberata, XIX, 104-114). Caposaldo della produzione del Lana, è stato fin qui identificato con un dipinto di analogo soggetto riferito all’artista ferrarese in un inventano del 1698 relativo ai quadri posseduti dai principi Foresto, Cesare e Luigi d’Este, reso noto nel 1870 da G. Campori. La ricerca sugli inventari Campori effettuata in questa occasione ne ha viceversa prospettato una diversa vicenda collezionistica, consentendo di appurarne la presenza nella raccolta fin dal 1642: data infatti a quell’anno un Inventario degli arredi presenti nell’appartamento “dove soleva habitare l’Abbate Honofrio”, inserito nel poco più tardo testamento di Pietro Campori (1660), nel quale si parla di “Due quadri grandi con le favole di Clorinda e Tancredi e di Erminia e Tancredi”. Ancora nel testamento di Onofrio Campori (1694) si ritrova un “quadro grande che è il Tancredi originale del Lana con sua cornice intagliata e dorata”, lo stesso che sarà citato al n. 171 nell’Inventario e stima dei quadri del 1857, nel quale, tra i dipinti situati “nell’appartamento del piano nobile verso il giardino”, viene elencato un “Gran quadro per traverso figurante Clorinda in atto di medicare le ferite di Tancredi sostenuto dal servo, in grandezza dal vero, fondo di paesaggio col morto Argante. Questo quadro vergine e come sortito dal cavalletto di Lodovico Lana Modenese”. L’esatta attribuzione al Lana, con la quale il dipinto figurò anche a una mostra d’arte antica presso la Regia Accademia di Belle Arti (1872), non è mai stata posta in dubbio, con la sola eccezione di Ragghianti (1939), che ne riferiva la paternità a Sisto Badalocchi. La datazione giovanile suggerita in un primo momento (PERUZZI 1980) è stata messa in dubbio da Luigi Ficacci (1983), ma si dimostra tuttora quella meglio praticabile per giustificare l’intenso carattere guerciniano, che rinvia evidentemente ai modi del giovane Barbieri (il riferimento più preciso è al quadro di analogo soggetto ora nella Galleria Doria Pamphilj di Roma). Passata ormai la fase inquietamente naturalistica delle Storie dei santi Francesco Saverio e Ignazio di Loyola inserite nei coretti lungo le navate della chiesa di San Bartolomeo e del grande Martirio dei santi Giovanni e Paolo in San Pietro, ancora legati alla cultura ferrarese di Bononi e di Scarsellino, il pittore si avvia verso una scaltrita regia di gesti e di effetti luminosi, che tuttavia nulla toglie a una narrazione resa in termini di romantica adesione sentimentale. Istanze di maggior controllo formale in senso propriamente reniano prevarranno in seguito, a partire dalla grande Pala del Voto, eseguita nel 1636, per culminare nell’aulica compostezza di tele come la Natività della Vergine (Cento, Pinacoteca Civica, in deposito alla Galleria Estense di Modena) o il San Sebastiano curato da Irene (Modena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna). All’interno di questo tragitto, che si segnala per l’interna coerenza con cui il pittore via via aderisce alle diverse sollecitazioni della cultura circostante, la tela del Museo Civico costituisce una tappa di grande suggestione: il colore smaltato e brillante, attraverso il quale Lana restituisce la vivida pittura di macchia del giovane Guercino, e la cura illusionistica con cui sono proposti certi dettagli, come l’elmo in primo piano o la camicia insanguinata dell’eroe, si declinano con una tensione idealizzante che prelude alle successive attenzioni per il Reni.