Musei Palazzo dei Pio
Piazza dei Martiri, 68
Carpi (MO)
Loschi Bernardino
1460 ca./ 1540
dipinto

tavola/ pittura a olio
cm. 214 (a) 183 (la)
sec. XVI (1506)
n. A/ 140
Tavola lignea di grandi dimensioni dipinta inquadrata in una cornice in legno dipinto; sul retro sono presenti indicazioni inventariali.
La scena dell'adorazione di Gesù si svolge all'aperto, sotto una tettoia in mattoni e paglia che occupa la parte sinistra della tavola e da cui si affacciano tre cherubini che cantano tenendo un "rotulus" musicale. In primo piano, Maria inginocchiata adora il Bambino ignudo, adagiato su di un lembo del suo mantello drappeggiato e impreziosito con fregi e la scritta "Ave" entro ornamenti a rombo, resi attraverso dorature a stucco. Sulla sinistra, a fianco di Maria, è Giuseppe con capelli e barba grigi, veste verde e mantello rosso. Dietro Gesù sono tre angioletti, identici nella fisionomia, con ali sfumate nei toni del rosa dorato e la mani giunte; oltre loro, il bue e l'asino. A destra, inginocchiati, vi sono San Giovanni Evangelista, con barba grigia fluente e abito rosso coperto da manto scuro, e San Giovanni Battista, più giovane, con tunica in tinta rosata e spalle scoperte. Tutti questi personaggi hanno aureole dorate in rilievo. In basso a destra, nell'estremità della tavola, è ritratto il committente dell'opera, Rodolfo Priori che, colto di profilo, osserva la scena in ginocchio e a mani giunte, vestito con abito e copricapo neri. Dietro i due santi è visibile il corteo dei Magi, che si snoda ininterrotto fino oltre la costruzione, popolato di personaggi e cavalli. Tutt'intorno, un paesaggio montuoso con alberi e rocce completa la scena nella parte superiore della tavola; il terreno in primo piano, invece, è un tappeto di fiori ed erba.

Le vicende a cui è andata soggetta l'opera in esame sono state indagate da Alfonso Garuti nella presentazione della tavola dopo i restauri avvenuti nel 1978 (A. Garuti, 1980, pp.12-19). L'opera si trovava in origine nella chiesa di S. Nicolò, nella terza cappella della navata di sinistra, un tempo chiamata del Presepio e di patronato della famiglia Priori. All'inizio del Settecento, forse per passaggio di proprietà, viene sostituito il titolo della cappella: la nuova dedica a Sant'Anna comporta un aggiornamento della tavola, a cui si sostituisce la figura originaria di San Giovanni Battista con quella nuova di Sant'Anna, appunto, e viene cancellata la figura del committente. Il responsabile dell'intervento fu, secondo Garuti, Louis De La Forest, come dimostrerebbero confronti stilistici con interventi del pittore settecentesco nella medesima chiesa. L'allontanamento definitivo dalla cappella è da ritenersi avvenuto nel 1737, con la realizzazione della nuova ancona in scagliola policroma; la tavola continua a rimanere esposta in chiesa, davanti alla cappella di S. Rocco, fino alla alienazione dopo le soppressioni napoleoniche. Entrata a far parte della più importante raccolta d'arte carpigiana del XIX secolo, quella del Canonico Giovanni Franciosi, viene venduta dagli eredi nel 1897 a Pietro Foresti e da costui destinata al Museo Civico, dove è conservata dal 1913.
L'assegnazione della tavola a Bernardino Loschi è recente e riportata dalla letteratura locale del XX secolo. Nonostante il regesto dei documenti relativi al Loschi, condotto recentemente e in maniera approfondita da Morena Leporati (M. Leporati, Bernardino Loschi e Giovanni Del Sega a Carpi: la pittura rinascimentale alla corte di Alberto III Pio, 2 voll., Tesi di laurea, anno acc. 1990-91, Università degli Studi di Bologna), non abbia portato alla luce testimonianze riferibili al rapporto di committenza con la famiglia Priori, i critici concordano nel sostenere l'attribuzione al Loschi per ragioni stilistiche e di riferimento ad altre tre Natività, di cui una, la lunetta ad affresco già nella chiesa della Sagra e ora in Museo, riporta il nome "Rodulfo Priori", il committente raffigurato alla destra della tavola in questione. La morte del Priori nel 1506, costituirebbe la data ante quem per la realizzazione della tavola da parte del Loschi.
La restituzione dell'opera alla sua originaria redazione grazie agli interventi di restauro, ha permesso una più approfondita analisi critica anche dei modi pittorici di Bernardino Loschi. Garuti sottolinea come l'immagine del committente, resa in modo acuto e penetrante, sia "una delle cose più alte del Loschi" (A. Garuti, 1980, p. 16), e la Leporati (M. Leporati, 1990-91, tomo II, p. 222) la definisce un vero e proprio ritratto, estraneo all'atmosfera fiabesca dell'intera composizione, quasi una rappresentazione a sé. Ancora una volta è dimostrato l'eclettismo di Bernardino Loschi, che nonostante il ricordo di motivi arcaici, dimostra di saper fondere diverse culture figurative, legandosi al realismo lombardo e alla più devota pittura ferrarese di primo Cinquecento.