Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
Maioli Luigi
1819/ 1897
scultura

gesso
cm. 51 (la) 71 (a) 28 (p)
sec. XIX (1889 - 1889)
n. 302222
L'effigiato è stato riconosciuto nel patriota Augusto Branzanti, figura esemplare di cospiratore, nato a Ravenna il 3 settembre 1820.
Nel 1848 accorse a combattere nel Veneto col grado di capitano: da allora volle partecipare a tutte le campagne nazionali fino al 1866. Le carte riprodotte da Giovanni Maioli (1931, pp. 14-20) gettano luce sul suo arresto e sulle penose vicende in cui si trovò coinvolto nel 1855. Nel 1857 fu uno dei graziati da Pio IX, quando il Pontefice si recò a Ravenna, durante l'estate. Branzanti aveva subìto l'onta del bastone austriaco. Essendo sottoposto alle torture, con fierezza seppe imporsi il silenzio (si veda: Uccellini 1898, p. 111). Anche dopo l'amnistia subì sevizie e persecuzioni. In seguito, divenne archivista all'Intendenza di Finanza ed ebbe diversi incarichi pubblici e privati. Alte personalità politiche, come Domenico Farmi e Alfredo Baccarini, lo onoravano della loro amicizia e tenevano corrispondenza epistolare con lui. Contava amicizie di democratici e di fervidi patrioti, come quella, a lui particolarmente cara, di Don Giovanni Verità, il prete romagnolo salvatore di Garibaldi. Per la morte di Branzanti, avvenuta il 25 settembre 1888, espressero le loro condoglianze anche Aurelio Saffi, Federico Comandini ed Eugenio Valzania, tra i più tenaci campioni del patriottismo romagnolo, che erano stati anch'essi provati da molteplici traversie, se non sempre dolorose quanto quelle di Branzanti. Il Valzania si può dire che sia stato l'animatore più ardente della cospirazione per cui tanti patrioti cesenati forlivesi e di altre parti della Romagna erano andati a popolare le carceri nell'ultimo periodo della dominazione austro-papale.
Branzanti fu il primo Presidente della Società della Sacca, nella cui sede gli fu, poi, inaugurato un busto e fatta una commemorazione da Alfredo Baccarini, che passò in rassegna le virtù civili dell'estinto (cfr. Miserocchi 1927, pp. 108 e 123).
Il 14 ottobre 1931 Pio Poletti, Presidente delle Associazioni riunite Garibaldini e Reduci Patrie Battaglie, si dichiarava impossibilitato, per le cattive condizioni fisiche dovute anche alla "grave età", a presenziare alla cerimonia della traslazione delle ceneri di Branzanti (che, prima di suicidarsi, aveva lasciato disposizioni affinché il suo corpo fosse cremato) in un loculo del Cimitero Monumentale di Ravenna. Spediva allora uno scritto che, tradotto in stampa e distribuito, sia pure in una forma vistosamente encomiastica e gratulatoria, rappresenta una fonte utile per ricostruire la biografia, peraltro assai lacunosa, del patriota (cfr. Poletti 1931). Nel testo Poletti ricorda, forse equivocando sul materiale di cui è costituito, "un busto in marmo eretto nella sua residenza [della "Sacca"]".
La Società della Sacca si è spenta. Era stata fondata il 25 aprile 1863 da un nucleo di 72 individui appartenenti a varie classi sociali, in prevalenza operai. Aveva finalità di svago. Lo Statuto parla chiaro: scopo precipuo della Società, nelle intenzioni dei fondatori, è quello "di formare una riunione di persone, che possono trattenersi in acconcio locale colla conversazione, con giuochi e con ogni altro trattenimento utile e piacevole, non solo, ma di mantenere con vincolo fratellevole l'unione, l'alleanza e il rispetto a tutte le convinzioni politiche liberali" (Statuto 1869). Non mancavano alla Società intenzioni filantropiche suggerite dal buon attaccamento degli aderenti alla città di Ravenna: nel Diario ravennate per l'anno 1873 è scritto che la Società della Sacca "concorre a tutte le imprese che sono di utile e di decoro al paese" (in quell'anno i soci erano 257), mentre nel Diario ravennate per il 1877 si precisa che "questo consorzio [...] conta 378 soci presenti, e 25 assenti: esso ha per iscopo la onesta ricreazione, e di porgere coll'esempio e col consiglio lezioni di morigeratezza, e di tolleranza politica liberale". Motto della Società era Salute e Fratellanza. Fra le cerimonie sociali di particolare significato vi fu quella, che si è ricordato, del 29 settembre 1889, per l'inaugurazione del busto in onore di Branzanti, opera e dono dello scultore Maioli.
Bernicoli, negli Atti dell'Accademia di Belle Arti in Ravenna, (1894-97), e nel Diario Ravennate del Gironi (1899), (dove precisa che "Scopo del presente ricordo si è quello di annoverare dettagliatamente le opere d'arte uscite dalle mani del Cav. Maioli"), riferisce che Luigi Maioli nacque a Ravenna il 24 maggio 1819 da Placido e dalla contessa Cristina Rasponi. Studiò disegno, sino ad iscriversi nel 1840 all'Accademia di Ravenna allora diretta da Ignazio Sarti, quale allievo di scultura dove rimase fino al 1844. A ventisei anni passò a Firenze per perfezionare la sua arte sotto la guida del Duprè, il quale lo ebbe in simpatia e lo reputò uno dei suoi allievi migliori. Trasferitosi a Roma nel 1856, si fece stimare da subito ricevendo molte commissioni, senza tuttavia interrompere i forti legami con Ravenna. Filippo Mordani, scrittore forbito e patriota e l'incisore Luigi Rossini lo amarono moltissimo ed anche a Firenze era ben voluto visto che strinse amicizia con Antonio Ciseri, celebre pittore dell'epoca, con lo scultore senese Tito Sarocchi e con molti altri. Infine a Roma, fra i tanti legò particolarmente con Tullo Dandolo, "letterato, cuore d'artista e patriotta". A lui modellò a Roma nel 1865 il ritratto in gesso, come in precedenza lo aveva modellato, ancora studente, al Mordani in Ravenna. Morì a 73 anni, gravemente malato, nel 1897.
Bernicoli ha fornito di Maioli un ritratto dai toni fin troppo retorici con intenti smaccatamente laudativi, cadendo inevitabilmente in ingenue banalizzazioni: "Il Maioli fu d'animo squisitamente gentile, di una educazione altamente nobile, religioso senza bigotteria, confidente e affettuoso cogli amici, quasi dispregiatore di sé, modestissimo, affabile, e per eccessiva bontà d'animo più lodatore, che critico, delle opere altrui...".
Un elenco delle sue opere è stilato sempre dal Bernicoli in entrambi i testi sopra citati. Per i meriti riconosciutigli fu accolto quale socio in varie Accademie. Nel 1882 fu insignito della Croce di Cavaliere della Corona d'Italia.
Viroli, nell'esaminare l'opera oggetto di questa scheda, precisa che, fin dagli esordi di Maioli, appaiono di gran lunga più significativi i molti busti rappresentanti amici e noti personaggi, ritratti con maestria. Sono veri documenti di obiettività e di verità.
Dai ritratti di Maioli, pur sotto una certa compassata freddezza, si manifesta sempre l'intima personalità degli effigiati. Se gettiamo uno sguardo sull'elenco, ovviamente incompleto, delle opere di Maioli compilato da Bernicoli (1899a), notiamo che, su un totale di circa 200 pezzi (certamente suscettibile di incremento) tra busti, bozzetti, monumenti e medaglie, ben 74 sono indicati come busti, quasi tutti realizzati in gesso. Ma probabilmente anche i monumenti funerari comprendevano, nel loro insieme, il ritratto dell'estinto, in forma di busto o di medaglione; si aggiunga che le medaglie, anch'esse, quasi sempre recano un ritratto. Qualunque sia la ragione di questa preferenza per la traduzione in scultura del volto umano (pare inutile precisare che, per gli scultori che operarono nell'Ottocento, finita l'epoca delle grandi decorazioni plastiche applicate all'architettura, quella celebrativa e funeraria era rimasta la sola scultura che trovasse un proprio spazio e che quindi poteva costituire una fonte di reddito per l'artista) resta certo che Maioli, probabilmente, in un tale genere di soggetti, si dimostra esecutore impeccabile. Nello stesso 1889 in cui realizzò questo busto di Augusto Branzanti, portò ad esecuzione anche il monumento Marini (Cimitero del Verano, Roma), il monumento Solieri vedova Gentili (Cimitero di Cesena) e la medaglia di Achille Ubaldini (Faenza).
C'è da dubitare che il busto di Branzanti oggi conservato nella Biblioteca Classense sia lo stesso già presente nella sede della Società della Sacca, anche se l'anno 1889, successivo a quello della morte di Branzanti, in cui fu scoperta l'effigie dello stesso, è indicato sul retro della scultura in esame. I ripetuti accenni alla scultura presente nella residenza della Società (Poletti 1924, Poletti 1931, Miserocchi 1927) la indicano sommariamente come "busto in marmo". E' possibile che ne fosse stata fatta una copia in gesso. Ma non è da escludere l'ipotesi che quello che Poletti e Miserocchi credevano essere marmo, fosse in realtà gesso, materiale a Maioli ben più congeniale.