Berceto

Castello di Berceto
Berceto

I resti del castello di Berceto
largo Castello
Berceto (PR)
tel 05251939109 (Uit Berceto)
Nell’alto appennino parmense, Berceto domina da 850 metri di altezza la val Baganza, tra il Taro e il Parma, nei pressi del passo della Cisa che conduce in Toscana e al litorale tirrenico.

Un sito strategico, dalla diocesi di Parma alle lotte comunali
L’insediamento sorse in un'area già occupata da una piccola fortificazione longobarda, a seguito della fondazione nel secolo VIII, a opera del re Liutprando, di un monastero benedettino retto dalla regola di san Colombano, che venne poi assegnato dal re d’Italia Carlomanno di Baviera alla diocesi di Parma alla fine del secolo successivo.
La posizione a controllo di una delle più importanti vie di comunicazione tra la pianura padana, la Toscana e la Liguria garantì la duratura importanza strategica del sito, che costituiva anche un’importante tappa della via Francigena, l’ultima prima dell’impegnativo passo, contrassegnata dal numero XXXIII nell'itinerario di Sigerico.
La rocca venne edificata attorno al 1220 dal comune parmense su concessione della diocesi, e fu a lungo contesa tra le fazioni cittadine in lotta per il controllo del comune. Nel 1252 venne occupata per breve tempo dai fuoriusciti ghibellini sostenitori dei Pallavicino, mentre nel 1308 vi si rifugiarono i guelfi Rossi e Lupi, banditi dal signore della città Giberto III da Correggio. Cinque anni dopo l’imperatore Enrico VII incendiò e distrusse borgo e castello, consegnandoli poi al genovese cardinale Fieschi, beneficiato allora con i fratelli anche del feudo della vicina Pontremoli.

Il castello (conteso) dei Rossi
Nel corso del Trecento Berceto entrò nell’orbita dei Rossi, la maggiore famiglia di parte guelfa della città, le cui pretese sul castello si fondavano su un privilegio del figlio dell’imperatore, Giovanni re di Boemia, che nel 1331 li aveva fatti conti.
Nei decenni centrali del secolo i Rossi riuscirono peraltro ad appropriarsi a vario titolo di numerosi beni della diocesi grazie alla parentela con il vescovo Ugolino, ponendo le basi di un amplissimo dominio con centro a Felino, difeso da un poderoso reticolo di castelli, che si estendeva nel parmense e in parte dell’oltrepo cremonese tra le valli del Parma e del Taro, dagli appennini al Po.
La legittimità del loro controllo su Berceto fu però resa a lungo incerta dalla conferma imperiale delle prerogative vescovili del 1355 e ancor più dalla pressione del comune cittadino, a cui si contrapposero i privilegi fiscali e l’influenza diretta esercitata a più riprese sul borgo a fine secolo dai duchi di Milano, egemoni a Parma dal 1346.

Il Quattrocento: Pier Maria Rossi
Nei primi del Quattrocento i Rossi, in lotta con Ottobuono Terzi per la signoria di Parma, cercarono di consolidare il fronte appenninico del loro stato; fallito il tentativo di proiettarsi in Lunigiana contendendo Pontremoli ai Fieschi, loro concorrenti all’interno del fronte guelfo, iniziarono a rivendicare il titolo di conti di Berceto, con Corniglio il loro maggiore possesso montano, fondamentale per il controllo degli accessi alla Toscana e alla Liguria.
Nel 1441 il celebre condottiero Pier Maria Rossi, che qui era nato, riacquistò Berceto – che vent’anni prima era stato ripreso da Filippo Visconti - dalla Camera ducale milanese con il contributo finanziario della comunità; otto anni dopo i suoi diritti vennero confermati da Francesco Sforza nonostante l'opposizione in armi del vescovo di Parma.
Nel quadro di un progetto di consolidamento territoriale dei suoi dominii, Pier Maria completò i lavori di ricostruzione e rafforzamento del castello avviati dai Visconti, facendo di Berceto - sede di una podesteria dello ‘stato’ rossiano - una possente struttura difensiva e insieme la sfarzosa dimora signorile attestata dagli affreschi della Camera d’Oro di Torrechiara, summa visiva dei suoi possedimenti.

I Rossi di San Secondo
Il testamento di Pier Maria – morto nel 1482 nel corso della guerra che ribaltandone la lunga alleanza con Milano lo aveva opposto al nuovo duca Ludovico il Moro - aveva assegnato Berceto al figlio Bertrando, che a fine secolo, agli albori della guerra d’Italia, vi ospitò il re di Francia e poi l’imperatore.
All’inizio del Cinquecento il castello fu però tra i beni rossiani rivendicati da Troilo, figlio di un figlio diseredato da Pier Maria e alleato dei francesi; Berceto venne così annesso al marchesato di San Secondo per lui istituito, divenuto in seguito contea sotto il governo pontificio.
I Rossi di San Secondo dominarono Berceto fino al 1666, quando Scipione Rossi - pesantemente indebitatosi per recuperare i beni di famiglia confiscati al fratello Troilo IV dai Farnese - fu costretto a vendere i suoi feudi appenninici alla Camera ducale parmense, mantenendo solo San Secondo.
All’inizio del secolo successivo il castello passò, permutato con Ravarano, ai Boscoli; a loro subentrarono nel 1736 i Tarasconi Smeraldi, che lo mantennero fino ai decreti napoleonici di abolizione dei feudi. Con la Restaurazione Berceto fu annesso direttamente al ducato di Parma e Piacenza.

Dalla decadenza al parco archeologico
Parzialmente compromesso già a inizio Ottocento ad esclusione dell’ala occidentale, il complesso fu in seguito adibito a sede del comune e a carcere, mentre la parte in rovina veniva utilizzata come cava per la costruzione delle abitazioni del paese.
Nel 1891 l’ingegner Magnaghi, promotore delle terme di Salsomaggiore, acquistò il castello dal demanio, morendo però pochi anni dopo. Nel corso del Novecento l’area venne poi spianata e destinata ad attività ricreative e sportive, seppellendo le rovine del fortilizio sotto cumuli di terra.
Nel 2004 furono avviati gli scavi che hanno riportato alla luce l’ampio tracciato delle mura del castello e le basi di alcune torri insieme a numerosi reperti; i lavori hanno consentito anche la realizzazione di un parco archeologico dotato di rampe e passerelle che consentono la visita e la visione dall’alto della struttura.

VISITA
I possenti resti del castello a pianta trapezoidale si articolano lungo il pendio dell’altura, a fianco del quale correva la strada romea.
Sono visibili parti delle mura, un tempo a triplice cerchia, e le basi di tre delle quattro torri circolari e del poderoso mastio posto al centro della corte interna.
Il fronte principale dell'edificio è affacciato verso il borgo; una scala metallica consente di raggiungere il portale sopraelevato, con arco a sesto acuto, l’unico rimasto dei quattro accessi originari alla struttura. Degli interni restano tracce delle partiture e una imponente scala in pietra dalla quale si giunge alle passerelle sopraelevate che consentono la visione dall’alto della struttura e dell’ampio panorama sul borgo e le valli circostanti.
Nel borgo, il duomo dedicato a san Moderanno venne ricostruito alla fine del XII secolo sull'antica chiesa annessa al monastero di età longobarda.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Baganza (Parma),
via Romea Francigena | Cisa
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Rossi
Bibliografia
largo Castello
Berceto (PR)
tel 05251939109 (Uit Berceto)
Nell’alto appennino parmense, Berceto domina da 850 metri di altezza la val Baganza, tra il Taro e il Parma, nei pressi del passo della Cisa che conduce in Toscana e al litorale tirrenico.

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Un sito strategico, dalla diocesi di Parma alle lotte comunali
L’insediamento sorse in un'area già occupata da una piccola fortificazione longobarda, a seguito della fondazione nel secolo VIII, a opera del re Liutprando, di un monastero benedettino retto dalla regola di san Colombano, che venne poi assegnato dal re d’Italia Carlomanno di Baviera alla diocesi di Parma alla fine del secolo successivo.
La posizione a controllo di una delle più importanti vie di comunicazione tra la pianura padana, la Toscana e la Liguria garantì la duratura importanza strategica del sito, che costituiva anche un’importante tappa della via Francigena, l’ultima prima dell’impegnativo passo, contrassegnata dal numero XXXIII nell'itinerario di Sigerico.
La rocca venne edificata attorno al 1220 dal comune parmense su concessione della diocesi, e fu a lungo contesa tra le fazioni cittadine in lotta per il controllo del comune. Nel 1252 venne occupata per breve tempo dai fuoriusciti ghibellini sostenitori dei Pallavicino, mentre nel 1308 vi si rifugiarono i guelfi Rossi e Lupi, banditi dal signore della città Giberto III da Correggio. Cinque anni dopo l’imperatore Enrico VII incendiò e distrusse borgo e castello, consegnandoli poi al genovese cardinale Fieschi, beneficiato allora con i fratelli anche del feudo della vicina Pontremoli.

Il castello (conteso) dei Rossi
Nel corso del Trecento Berceto entrò nell’orbita dei Rossi, la maggiore famiglia di parte guelfa della città, le cui pretese sul castello si fondavano su un privilegio del figlio dell’imperatore, Giovanni re di Boemia, che nel 1331 li aveva fatti conti.
Nei decenni centrali del secolo i Rossi riuscirono peraltro ad appropriarsi a vario titolo di numerosi beni della diocesi grazie alla parentela con il vescovo Ugolino, ponendo le basi di un amplissimo dominio con centro a Felino, difeso da un poderoso reticolo di castelli, che si estendeva nel parmense e in parte dell’oltrepo cremonese tra le valli del Parma e del Taro, dagli appennini al Po.
La legittimità del loro controllo su Berceto fu però resa a lungo incerta dalla conferma imperiale delle prerogative vescovili del 1355 e ancor più dalla pressione del comune cittadino, a cui si contrapposero i privilegi fiscali e l’influenza diretta esercitata a più riprese sul borgo a fine secolo dai duchi di Milano, egemoni a Parma dal 1346.

Il Quattrocento: Pier Maria Rossi
Nei primi del Quattrocento i Rossi, in lotta con Ottobuono Terzi per la signoria di Parma, cercarono di consolidare il fronte appenninico del loro stato; fallito il tentativo di proiettarsi in Lunigiana contendendo Pontremoli ai Fieschi, loro concorrenti all’interno del fronte guelfo, iniziarono a rivendicare il titolo di conti di Berceto, con Corniglio il loro maggiore possesso montano, fondamentale per il controllo degli accessi alla Toscana e alla Liguria.
Nel 1441 il celebre condottiero Pier Maria Rossi, che qui era nato, riacquistò Berceto – che vent’anni prima era stato ripreso da Filippo Visconti - dalla Camera ducale milanese con il contributo finanziario della comunità; otto anni dopo i suoi diritti vennero confermati da Francesco Sforza nonostante l'opposizione in armi del vescovo di Parma.
Nel quadro di un progetto di consolidamento territoriale dei suoi dominii, Pier Maria completò i lavori di ricostruzione e rafforzamento del castello avviati dai Visconti, facendo di Berceto - sede di una podesteria dello ‘stato’ rossiano - una possente struttura difensiva e insieme la sfarzosa dimora signorile attestata dagli affreschi della Camera d’Oro di Torrechiara, summa visiva dei suoi possedimenti.

I Rossi di San Secondo
Il testamento di Pier Maria – morto nel 1482 nel corso della guerra che ribaltandone la lunga alleanza con Milano lo aveva opposto al nuovo duca Ludovico il Moro - aveva assegnato Berceto al figlio Bertrando, che a fine secolo, agli albori della guerra d’Italia, vi ospitò il re di Francia e poi l’imperatore.
All’inizio del Cinquecento il castello fu però tra i beni rossiani rivendicati da Troilo, figlio di un figlio diseredato da Pier Maria e alleato dei francesi; Berceto venne così annesso al marchesato di San Secondo per lui istituito, divenuto in seguito contea sotto il governo pontificio.
I Rossi di San Secondo dominarono Berceto fino al 1666, quando Scipione Rossi - pesantemente indebitatosi per recuperare i beni di famiglia confiscati al fratello Troilo IV dai Farnese - fu costretto a vendere i suoi feudi appenninici alla Camera ducale parmense, mantenendo solo San Secondo.
All’inizio del secolo successivo il castello passò, permutato con Ravarano, ai Boscoli; a loro subentrarono nel 1736 i Tarasconi Smeraldi, che lo mantennero fino ai decreti napoleonici di abolizione dei feudi. Con la Restaurazione Berceto fu annesso direttamente al ducato di Parma e Piacenza.

Dalla decadenza al parco archeologico
Parzialmente compromesso già a inizio Ottocento ad esclusione dell’ala occidentale, il complesso fu in seguito adibito a sede del comune e a carcere, mentre la parte in rovina veniva utilizzata come cava per la costruzione delle abitazioni del paese.
Nel 1891 l’ingegner Magnaghi, promotore delle terme di Salsomaggiore, acquistò il castello dal demanio, morendo però pochi anni dopo. Nel corso del Novecento l’area venne poi spianata e destinata ad attività ricreative e sportive, seppellendo le rovine del fortilizio sotto cumuli di terra.
Nel 2004 furono avviati gli scavi che hanno riportato alla luce l’ampio tracciato delle mura del castello e le basi di alcune torri insieme a numerosi reperti; i lavori hanno consentito anche la realizzazione di un parco archeologico dotato di rampe e passerelle che consentono la visita e la visione dall’alto della struttura.

VISITA
I possenti resti del castello a pianta trapezoidale si articolano lungo il pendio dell’altura, a fianco del quale correva la strada romea.
Sono visibili parti delle mura, un tempo a triplice cerchia, e le basi di tre delle quattro torri circolari e del poderoso mastio posto al centro della corte interna.
Il fronte principale dell'edificio è affacciato verso il borgo; una scala metallica consente di raggiungere il portale sopraelevato, con arco a sesto acuto, l’unico rimasto dei quattro accessi originari alla struttura. Degli interni restano tracce delle partiture e una imponente scala in pietra dalla quale si giunge alle passerelle sopraelevate che consentono la visione dall’alto della struttura e dell’ampio panorama sul borgo e le valli circostanti.
Nel borgo, il duomo dedicato a san Moderanno venne ricostruito alla fine del XII secolo sull'antica chiesa annessa al monastero di età longobarda.


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