Rimini (RN)
La posizione strategica allo snodo tra centro e nord Italia - in apertura dei grandi spazi padani e all’imbocco della val Marecchia che collegava l’Adriatico all’Aretino e alla valle del Tevere – fu all’origine della fondazione nel 268 a.C. di Ariminum. Caposaldo della presenza romana sul versante orientale della penisola e della progressiva conquista della pianura settentrionale, Rimini divenne poi lo snodo delle vie consolari Aemilia, Flaminia e Popilia che collegavano Roma alla pianura padana e al Veneto.
Fortificato fin dalla sua fondazione e dotato di un importante porto, l’insediamento rivestì a lungo un rilevante ruolo militare ed economico, divenendo la base della ‘riconquista’ cesaraiana di Roma e godendo sotto i primi imperatori di un notevole sviluppo, fino al declino innescato dalle invasioni barbariche, che portarono alla costruzione delle mura aureliane.
La via marecchiese acquisì nuova importanza per il controllo di Rimini, e di Ravenna, durante la guerra greco-gotica, poi nel corso del confronto tra bizantini e longobardi come parte dei percorsi per Roma alternativi alla Flaminia e come porta d’accesso alla Pentapoli – divenuta alla fine del secolo VIII parte del Patrimonio di San Pietro a seguito delle donazioni dei re carolingi.
Dall’espansione comunale alla signoria Malatesta
Tra XII e XIII secolo il comune riminese estese la sua egemonia sul suo contado – in pianura come in appennino – ponendosi in contrasto con le città vicine, i signori locali, il vescovo cittadino e il metropolita ravennate, in un contesto segnato dalle lotte tra Papato e Impero che trovarono una prima composizione nel 1278 con il riconoscimento imperiale dei diritti del papa sulla Romagna.
Pochi anni dopo, nel 1295, l’aspro conflitto tra fazioni che aveva agitato per due secoli la vita cittadina ebbe termine con l’attribuzione della signoria di fatto di Rimini a Malatesta da Verucchio – il dantesco ‘Mastin vecchio’, ghibellino divenuto guelfo per calcolo politico - capo di un casato dotato di ampi beni e giurisdizioni feudali nel contado riminese e nel Montefeltro.
Nel corso del Trecento l’aggressivo espansionismo dei Malatesta li portò a dominare la Romagna orientale fino a Cesena, Meldola e Bertinoro, parte del Montefeltro con San Leo e Pennabilli, e le Marche settentrionali con Pesaro, Fano, Fossombrone, Senigallia: prima in contrasto con il papa, poi come suoi vicari dopo la sconfitta subita a metà secolo nel corso della guerra di riconquista dei territori papali lanciata dal cardinale Albornoz contro il ribellismo signorile.
Castel Sismondo, un manifesto politico
Castel Sismondo fu edificato a partire dal 1437 – secondo una targa celebrativa il 20 marzo, data stabilita dagli astrologi di corte - da Sigismondo Pandolfo Malatesta, da cinque anni unico signore di Rimini e Fano a seguito della divisione dei possedimenti del ramo ‘romagnolo’ del casato, da tempo separato da quello pesarese, con il fratello Domenico detto Malatesta Novello, a cui erano andate Cesena, Meldola e Bertinoro.
Attribuito a Sigismondo, il progetto fu realizzato dai ‘muratori’ Cristoforo Foschi e Matteo Nuti - attivo anche nella rocca di Pergola, nella rocca e palazzo malatestiano di Fano e nella biblioteca malatestiana di Cesena - con la probabile consulenza del Brunelleschi, che nel 1438 aveva eseguito il sopralluogo delle principali fortezze malatestiane.
Il grandioso complesso sorse di fronte alla principale piazza cittadina, presso la porta del Gattiolo dove sorgevano le case assegnate dal comune alla famiglia a inizio Duecento e trasformate nel secolo successivo in un palatium, che era stato ampliato e fortificato con un doppio giro di mura già nel 1431 a seguito della rivolta di Ramberto Malatesta.
Simbolo del potere e manifesto dell’ambizioso progetto di Sigismondo di riunire in un unico stato, in vista della prevedibile estinzione degli altri rami familiari, i dominii malatestiani tra Romagna e Marche nel contesto del conflitto permanente con i Montefeltro per il controllo della val Marecchia, il castello fu progettato al contempo come fortezza e residenza della corte.
L’iconografia coeva ha tramandato un’immagine ‘di transizione’ della parte militare del complesso, terminata nel 1446: richiama in parte modelli difensivi ancora medievali la cinta muraria interna con l’imponente cassero e le alte torri quadrate dalle inclinate scarpature al tempo paragonate a ‘piramidi’; un secondo sistema difensivo esterno bastionato, la cui costruzione comportò l'abbattimento di alcuni edifici religiosi, era protetto da un grande fossato asciutto, alimentato in caso di necessità da un sistema idrico collegato al Marecchia.
Anche la parte residenziale, conclusa solo dopo la metà del secolo, presentava elementi architettonici e decorativi tardogotici, come la policromia parietale esterna, oggi individuabile in pochi lacerti, ritmata sulla divisa araldica tricolore del casato. Gli inventari coevi attestano il fasto degli interni riccamente decorati, sede di una corte che ospitava alcuni dei maggiori rappresentanti della cultura umanistica del tempo - architetti e artisti quali Leon Battista Alberti, Agostino di Duccio, Matteo de' Pasti, Piero della Francesca ed eccelsi letterati impegnati a edificare il mito del signore.
La fortificazione del territorio
Nei due decenni successivi, il tempo delle grandi vittorie militari di Sigismondo, un programma di imponenti opere di fortificazione dei suoi possedimenti accompagnò la realizzazione di castel Sismondo, marcando l’identità visiva del territorio tra il Riminese e le Marche settentrionali.
A Verucchio, Santarcangelo, Sogliano, Montescudo, Montefiore, Pennabilli, Gradara, Fano e Senigallia, e in tanti altri luoghi, sorse così una serie di rocche realizzate - spesso su fortificazioni precedenti - secondo i nuovi dettami di edilizia militare e sulla base della grande esperienza acquisita da Sigismondo nelle tecniche belliche, dando vita a un sistema di organizzazione militare del territorio supportato da interventi di miglioramento della viabilità tra Adriatico, Toscana e Umbria.
La fortificazione del territorio fu accompagnata da grandi opere urbanistiche e architettoniche nelle principali città, che ebbero il loro vertice nell’incompiuto ‘Tempio’ riminese iniziato nel 1450, innalzato al "Dio immortale e alla città" e a celebrazione di Sigismondo e del suo casato.
Tra Venezia e lo Stato della Chiesa
I contrasti con il nuovo papa Enea Silvio Piccolomini e le sconfitte subite nel 1462 a opera dell’eterno nemico Federico da Montefeltro segnarono la fine politica di Sigismondo, costringendo nell’arco di pochi anni i Malatesta a restituire alla Chiesa i domini marchigiani, poi quelli riminesi con l’esclusione della città e del suo contado prossimo, e quelli cesenati.
Al centro delle vicende del casato anche negli anni del declino, nel 1500 il castello riminese riuscì a resistere all’assalto di Cesare Borgia, il figlio di papa Alessandro VI che stava allora costruendo manu militari il suo effimero Ducato romagnolo. Ottenuta la città versando un’ingente somma all’indebitato Pandolfo IV - che aveva avuto in Venezia, potenza emergente dell’area romagnola, un interessato e incostante protettore - il Valentino provvide ad abbassare e fortificare ‘alla franciosa’, dotandole di bombarde, le difese del castello, con la consulenza di Leonardo da Vinci che era stato da lui incaricato di verificare e migliorare lo stato delle infrastrutture militari romagnole.
Tre anni dopo, recuperata Rimini dopo la morte del papa e la fine del progetto borgiano, Pandolfo la rivendette proprio alla Serenissima in cambio di altro denaro, compresi 4.500 ducati per il riscatto della rocca, privilegi e ricche condotte militari per sé e il fratello, concludendo di fatto ingloriosamente la storia secolare dei Malatesta.
Tra Sei e Novecento: nello Stato della Chiesa
Sconfitti i Veneziani a Agnadello e i Francesi a Ravenna, la Chiesa annesse alla propria compagine statale i recuperati territori romagnoli, cancellando il sistema vicariale e soffocando i ripetuti tentativi di Pandolfo IV e dei suoi eredi di rientrare a Rimini, proseguiti fino ai tardi anni Venti del Cinquecento.
Parte con Rimini della Legazione di Ravenna per quasi tre secoli, nel terzo decennio del secolo XVII castel Sismondo venne sottoposto a notevoli lavori di fortificazione promossi da Urbano VIII, e denominato in suo onore castel Urbano.
Adibito a caserma nel 1821, e a prigione trent’anni più tardi, il castello vide nuovi pesanti interventi che portarono all’abbattimento di una torre, alla distruzione della cinta muraria e del sistema di baluardi esterni, e al riempimento del fossato.
Castel Sismondo nel Novecento
Dopo il 25 luglio 1943 nelle prigioni del castello furono rinchiusi alcuni tra i più importanti gerarchi fascisti riminesi. Gli oltre trecento bombardamenti che colpirono la città fino all’inizio del 1945 distruggendola quasi completamente provocarono gravi danni anche alla rocca; in un’occasione la breccia apertasi nel muro di cinta consentì la fuga di diversi detenuti, compresa una famiglia ebrea in attesa di deportazione.
Riparato nell’immediato dopoguerra, l’edificio mantenne la funzione di prigione fino al 1967, rimanendo poi abbandonato per decenni.
La convenzione trentennale stretta nel 1999 tra il Comune e la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini ha consentito il rapido completamento – sotto la supervisione della Soprintendenza competente - dei restauri rimasti bloccati dalla fine degli anni Sessanta e la valorizzazione degli spazi monumentali, con la loro destinazione a iniziative culturali e l’apertura alle visite; nuovi interventi hanno interessato dal 2017 il recupero del fossato e della cinta muraria.
Il castello con la sua piazza è oggi il perno di un percorso che unisce le testimonianze romane e rinascimentali della città; nel 2021 è stato inaugurato il museo diffuso dedicato al riminese Federico Fellini, un percorso di installazioni che dal cinema Fulgor rievocato in ‘Amarcord’ porta al castello, dove sono allestite le ricostruzioni di alcuni set felliniani.
VISITA
L’imponente castello che sorge isolato su un lato della piazza, con le torri quadrate e le muraglie scarpate, costituisce la sezione interna dell’edificio originario, mentre è oggi scomparso il giro esterno di mura bastionate.
Il portale marmoreo che segna l’ingresso volto alla città è ornato da uno stemma con lo scudo Malatesta affiancato dal nome di Sigismondo Pandolfo in caratteri gotici e da una epigrafe dedicatoria in latino, esempio precoce di recupero dei caratteri lapidari classici.
Il complesso, che occupa una superficie di oltre 3.000 metri quadri, si articola in quattro spazi tra loro comunicanti: il palazzo di Isotta, l’edificio centrale dei servizi, il cortile grande e il maschio, dislocato su due piani collegati tra loro da uno scalone elicoidale.
Negli antichi magazzini dell’ala di Isotta è allestita una mostra permanente dedicata ai castelli malatestiani in Romagna e nelle Marche, imperniata su due grandi plastici che illustrano la dislocazione territoriale delle fortificazioni e il progetto architettonico originario di castel Sismondo, affiancati da strutture multimediali che illustrano la storia del casato e di Sigismondo Pandolfo, i principi dell’architettura militare del tempo e le espressioni artistiche fiorite in epoca malatestiana.
Ambiti territoriali presidiati dal castello:
valle Marecchia,via Emilia,
via Flaminia,
via Popilia,
via Marecchiese Aretina
Signori del castello tra medioevo e età moderna:
Malatesta,Borgia
Stili architettonici e decorativi nel castello:
TardogoticoItinerari tematici e storici tra i castelli:
Le fortificazioni 'alla moderna',Leonardo e le rocche romagnole,
Fascismo Guerra Resistenza,
Le rocche al cinema
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