
Mesola (FE)
Il variabile spazio dell'area deltizia, posto in gran parte sotto il livello del mare, era delimitato in antico da linee dunose di costa ben più arretrate di quelle attuali, spinte alle spalle dell’attuale Mesola; in età romana il litorale, ora più avanzato, venne affiancato dalla via Popilia Annia proveniente da Rimini e Ravenna che si dirigeva poi verso l’area veneto-friulana con i porti di Adria e Aquileia.
Donata nell’VIII secolo al papa dai re franchi con la romaniola ex bizantina, sul finire del primo millennio questa area rientrò tra i territori ex esarcali riconosciuti dall’Imperatore alla Chiesa di Ravenna, che ottenne tra l'altro i comitati di Ferrara e di Comacchio e l’abbazia di Pomposa, poi titolare dell’area tra Massanzatico e Monticelli. A metà del XII secolo l’intero spazio deltizio venne modificato dalle disastrose rotte di Ficarolo, che portarono a nord di Ferrara il corso principale del Po - in precedenza diretto al mare subito a nord di Ravenna - favorendo la stessa Ferrara e Venezia a spese dell’antica capitale esarcale.
Una riserva venatoria per la corte...o un porto concorrente di Venezia?
Ottenuta nella seconda metà del Duecento la signoria di Ferrara – formalizzata nel 1332 dal vicariato papale – la famiglia degli Este comprò in questa zona, acquisendola al proprio patrimonio privato, un’isola boscosa di forma triangolare collocata tra la foce del Po di Goro e del Po dell’Abate: la Mesola o media insula.
Come tanti dominii estensi orientali, collegati alla capitale da una fitta rete di vie d’acqua, la Mesola venne per lungo tempo considerata solo come un immenso spazio di caccia e pesca a disposizione della corte. Ma nella seconda metà del Cinquecento l'intera area deltizia venne coinvolta nel grandioso progetto della Bonifica ferrarese avviato dal duca Alfonso II nelle terre della signoria più esposte all'instabilità del sistema idrico padano, che si proponeva di mettere a coltura gli spazi di pianura recuperati dall’acqua, facendo fluire nel delta lo sbocco dei canali di bonifica.
La ‘grande bonifica’ mutò ancor di più le prospettive della Mesola: all’implicito ruolo strategico connesso alla sua posizione di confine con i territori di Venezia - che aveva per secoli cercato di espandersi a sud del Po - si aggiunse ora una potenziale, e dirompente, funzione economica. Protetta da porti naturali a sud e a nord, all’imbocco delle vie d’acqua che collegavano il mare con Ferrara e la pianura padana, l’isola poteva infatti diventare un primario centro portuale di snodo tra alto Adriatico e mercati continentali, in concorrenza con la stessa Serenissima.
Il ‘barco’ murato e la ‘delizia’: una città nuova
Fu probabilmente con questo obiettivo – secondo gli studi di Francesco Ceccarelli - che conclusa la bonifica venne qui avviato a partire dal 1578 un importante progetto urbanistico su disegno di Marcantonio Pasi, il cartografo dei Ducato progettista per gli Este di opere di canalizzazione e bonifica e di alcune fortezze appenniniche. L'intervento prevedeva la realizzazione di un'imponente cinta muraria di laterizi e pietra - scandita da dodici torrioni difensivi e quattro porte ai punti cardinali - che perimetrava per nove miglia il ‘barco’, un’area selvosa destinata a riserva di caccia e solo in parte allora dotata di strade e canali; ma che, se popolata, sarebbe diventata la più grande ‘città nuova’ del Rinascimento.
Terminate le mura, cinque anni dopo fu avviato il cantiere di una sfarzosa residenza di caccia a pianta quadrata con quattro torri angolari in diagonale, integrata da edifici minori, che Alfonso, educato in Francia, volle ispirata alla Chambord di Francesco I. Nasceva così la più tarda, e una delle maggiori ‘delizie’ estensi: splendide residenze estive del governo e degli svaghi di corte poste in aree sub o extraurbane, che rappresentavano la potenza del casato ma costituivano anche gli snodi del suo progetto di presidio e trasformazione del territorio come nuclei amministrativi delle grandi proprietà, centri di controllo delle bonifiche, e ove necessario presidi strategici dei dominii estensi.
Fine della dinastia, fine della città nuova: la crisi del delta ferrrese
Nel 1586 i lavori erano a uno stato avanzato; ma il progetto estense di ‘città nuova’ – simile a quelli allora promossi dalle piccole signorie del medio corso del Po – venne bruscamente abbandonato, per gli enormi costi prima, poi a seguito della devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa dopo la morte nel 1597 di Alfonso senza eredi riconosciuti dal papa.
Durissima fu comunque la reazione di Venezia agli interventi nell'area deltizia che minacciavano nel vivo i suoi interessi: il taglio del Po di Viro, la deviazione a sud-est del tratto terminale del fiume realizzata dalla Serenissima a partire dal 1599, ufficialmente per contrastare l'interramento della laguna, alterò profondamente l’assetto del delta insabbiando a gran velocità i porti ferraresi e spingendo la Mesola lontano dal mare - preludio del grave declino che nel Seicento si sarebbe esteso a tutto il Ferrarese.
Ritirati nei feudi ‘imperiali’ di Modena e Reggio dopo aver perduto quello papale, gli Este mantennero però nel territorio ferrarese diversi beni allodiali, liberi da vincoli feudali, comprese le ‘delizie’ di Mesola e Belriguardo e i vastissimi e redditizi possessi nelle valli di Comacchio. Sull’origine imperiale o papale dei diritti sulle terre del delta, e sulla loro natura pubblica o privata, sorse tra gli Este e il papa un’interminabile controversia, risolta solo a metà Seicento grazie ad ampie consulenze scientifiche e a un uso politico-diplomatico della cartografia.
Persa ogni connotazione politica e di rappresentanza, il palazzo della Mesola conservò come quello di Belriguardo solo le funzioni economiche connesse alla gestione della tenuta, mentre molti edifici minori del complesso subivano pesanti alterazioni o venivano distrutti, e le mura scomparivano, cancellate dall’abbandono.
La rinascita del delta
Gli Este mantennero la proprietà della Mesola fino al 1771, quando tenuta e castello passarono per via dotale agli Asburgo-Lorena, che già nel decennio successivo li cedettero al papa; tornata allo stato della Chiesa con la Restaurazione post-napoleonica, la tenuta passò all'Istituto romano di Santo Spirito. Un grande progetto di bonifica venne in seguito avviato alla Mesola ad opera di un nuovo titolare, la Società per la Bonifica dei Terreni Ferraresi, a cui subentrarono nel 1952 l'Ente Delta padano, che procedette alla lottizzazione e assegnazione dei poderi ai coltivatori, e in seguito la Provincia di Ferrara.
Il territorio mesolese è oggi parte del Parco regionale del Delta del Po Emilia-Romagna, istituito nel 1988. Tra il 1995 e il 1999 il sistema delle dimore estensi e del loro paesaggio è stato riconosciuto dall’Unesco come asse fondamentale di collegamento tra Ferrara città del Rinascimento e il suo delta, eccezionale paesaggio culturale pianificato collegato a quello urbano, che in gran parte conserva il suo impianto originale.
VISITA
Circondato da edifici porticati, il palazzo restaurato ha mantenuto l’impianto a pianta quadrata con quattro torri quadrate merlate angolari. L’imponente salone al piano terra ospita una sezione didattica sugli Este, con albero genealogico e stemma araldico, e sulla storia della tenuta illustrata da cartografie; sette stemmi originali risalgono al governo pontificio.
Nelle sale dai soffitti affrescati del piano nobile si snoda un percorso storico-antropologico su ambienti e culture del Delta; l’esposizione permanente ‘In lode della Mesola’- citazione del gruppo di madrigali dedicato dal Tasso a questi luoghi – è un affascinante percorso storico attraverso le fasi dell’insediamento mesolano; le caratteristiche del castello, delle mura e del barco sono illustrate da un ampio apparato cartografico integrato da modelli, riproduzioni di documenti e dipinti.
Al secondo piano, il Museo del cervo e del bosco della Mesola, centro visite del Parco Regionale del Delta del Po, illustra attraverso audiovisivi e pannelli illustrativi storia e caratteri dell’antico cervo delle dune, dal corredo genetico unico al mondo, presente in centinaia di esemplari nella vicina riserva naturale del Gran Bosco della Mesola, uno degli ultimi e meglio conservati residui di bosco di pianura.
L'ultimo relitto dell'antico bosco che dal castello, entro e oltre la cinta muraria, si estendeva fino al mare è il boschetto di santa Giustina, che unisce per circa quattro chilometri, su cordoni di dune di età tardo medievale, l'omonimo abitato all'argine del Po di Goro. Nella stessa località si trova la Torre dell’Abate, struttura di controllo dei flussi idraulici della bonifica cinquecentesca imperniata su un sistema di porte vinciane, che assunse poi funzioni difensive e di controllo in seguito al taglio del Po di Viro.
Ambiti territoriali presidiati dal castello:
delta e valle PoSignori del castello tra medioevo e età moderna:
EsteStili architettonici e decorativi nel castello:
Rinascimento e ManierismoItinerari tematici e storici tra i castelli:
Le Delizie estensi