Nei pressi del Palazzetto Sancitale, invece, si può ammirare un grande olmo secolare (diametro 118 cm, altezza 33 m), tra i pochi sfuggiti all’epidemia di grafiosi che li decimò negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso; altri olmi, con diametri di poco inferiori al metro, sono sparsi nelle aree boscate più naturali del giardino.
Non lontano anche un frassino maggiore e un acero campestre raggiungono dimensioni ragguardevoli per le specie (si pensa che siano nati spontaneamente o sfuggiti alla potatura delle siepi in un periodo di relativo abbandono del giardino, intorno al 1885).
Anche le piccole formazioni boscate non lontane dalla peschiera accolgono molti esemplari monumentali, tra cui un ippocastano (diametro 103 cm, altezza 28 m) che occupa una posizione originariamente destinata agli impianti di tigli e potrebbe risalire all’epoca di Maria Luigia.
Nei boschetti e nelle piccole radure regolari spiccano in particolare imponenti esemplari di farnia, certamente derivati dalla disseminazione naturale, che si trovano su allineamenti di siepi oggi perdute e si sono potuti sviluppare verso la fine dell’Ottocento per l’incuria nella gestione del giardino. Tra le maggiori vi è senza dubbio la farnia (diametro 143 cm, altezza 31) che cresce nei pressi del Tempietto di Arcadia, sopra i ruderi di un muretto, con la base molto allargata a inglobare la vecchia muratura; non lontano spicca un altro maestoso esemplare (diametro 150 cm) dal bellissimo portamento colonnare.
La specie che, tuttavia, più sorprende per il numero di esemplari presenti (ancora più di 800 dopo il restauro), e per la longevità di buona parte delle piante, è il tiglio nostrano. Alcuni esemplari superano il metro di diametro: uno, con funghi al colletto e chioma molto potata, si trova lungo il viale nei pressi del teatro e un individuo in ottima salute (diametro 111 cm) cresce nei pressi del gruppo scultoreo di Sileno ed Egle. Come hanno certificato le analisi dendrocronologiche eseguite su individui abbattuti nel corso del restauro, questi alberi risalgono sicuramente all’impianto originario del parco; si può affermare che hanno circa 250 anni e sono gli alberi più vecchi del parco.
Particolarità:
Molto vicino al Parco Ducale, oltre il Lungoparma e l’imponente Palazzo della Pilotta, si trova il Giardino di Piazzale della Pace, che si raggiunge facilmente varcando il ponte Verdi e passando sotto i caratteristici voltoni del palazzo. Il giardino, costituito in prevalenza da un vasto prato all’inglese, è nato alla fine degli anni ’90, su progetto dell’architetto ticinese Mario Botta, dopo vicissitudini che hanno ritardato per decenni la sistemazione di questo centralissimo spazio cittadino. Le bombe cadute durante l’ultima guerra e la successiva incuria avevano portato al degrado dell’area, che era diventata un grande parcheggio per automobili, in evidente contrasto l’importanza dei monumenti circostanti. La trasformazione in area verde, con il grande prato, le piante ad alto fusto e la bella fontana a vasca, lo ha reso uno dei punti di ritrovo più frequentati della città. All’interno del giardino sono situati il monumento dedicato a Giuseppe Verdi e il monumento al Partigiano. Il motivo di maggior interesse suscitato dalla piazza, oltre alla particolarissima collocazione, è dovuto alla presenza di importanti alberi monumentali: quattro grandi platani, tre dei quali allineati lungo via Garibaldi e uno più distaccato all’interno del prato, sul lato settentrionale della piazza, uno scenografico cedro del Libano (diametro 133 cm) e una magnolia sempreverde dalla chioma larghissima accanto al monumento al Partigiano.
Tipo:
piazza
Particolarità:
I quattro platani monumentali (con diametri di un metro, un metro e mezzo, quasi due metri l’ultimo del filare e 181 cm quello isolato sul prato) facevano parte di una grande e singolare formazione di 65 esemplari, piantati in allineamenti paralleli alla strada, in quella che fu anche chiamata “Piazza dei Platani” e venne realizzata intorno al 1830 dall’architetto di corte Nicola Bettoli, che nella scelta della specie e nella tipologia d’impianto adottò una soluzione in voga nel periodo napoleonico. Vari eventi hanno decimato nel tempo il particolare impianto e anche due degli esemplari rimasti sono piuttosto malandati e indeboliti dalle malattie insediatesi dopo impropri interventi di potatura, anche se vengono costantemente monitorati e mantenuti in sicurezza.
L. n. 1089/1939
DLgs n. 42/2004, art.10
Parma (PR)
La maggior parte dei platani dell’étoile, veri e propri monumenti verdi, risalgono all’epoca di Maria Luigia: i più vecchi superano i 170 anni d’età, con diametri intorno al metro e mezzo, ma il più grande supera i due metri. Gli ippocastani, che in lunghi filari fiancheggiano i viali che si dipartono dell’étoile, sono insieme ai tigli gli alberi più numerosi del parco; come specie erano presenti lungo il viale principale al centro del parco fin dal primo impianto, a metà del ’700, e gli esemplari venuti a mancare sono stati nel tempo rimpiazzati da nuovi alberi della stessa specie (i più grandi hanno diametri che si avvicinano al metro o lo superano di poco).
Lungo il viale centrale, vero asse del giardino, procedendo in direzione ovest si allineano in maniera simmetrica verso nord e verso sud radure e “sale” o “stanze verdi” verdi caratterizzate da elementi scultorei e particolari impianti vegetali. Subito si incontrano due “stanze” che hanno al centro vasi, disegnati da Petitot, su piedistalli con decorazioni a conchiglia dello scultore Jean Baptiste Boudard. Nelle vicinanze della stanza più a nord si trovano la serra limonaia e le vasche della giardineria comunale, costruite agli inizi del ’900; nell’area di pertinenza, circondata da un’alta siepe formale di carpino bianco e acero campestre, cresce qualche albero da frutto; verso l’accesso al viale perimetrale sono collocate copie delle statue di Venere e Apollo (1754-1755). La zona è dominata da alcune grandi farnie: una, con una grossa carie al colletto e una branca potata, raggiunge i 134 cm di diametro; altre due arrivano a 115 e 130 cm.
In questa parte settentrionale del giardino, dal Palazzo Ducale inizia un viale di tigli, di sera illuminato da lampioni, che fiancheggia un tratto sopravvissuto delle mura cinquecentesche demolite ai primi del ’900: nel ’700 le mura sostenevano un viale alberato sopraelevato, la cosiddetta terrasse, di cui resta ancora il parapetto. Anche nella “stanza” a sud, tra carpini bianchi, aceri campestri e un pioppo cipressino, spiccano diverse grandi farnie dal bel portamento, con potenti tronchi ramificati molto in alto e diametri dai 120 ai 137 cm; tra di esse spicca un acero campestre (diametro 66 cm), abbastanza grande per la specie.
A queste prime “stanze” seguono le ampie “sale di ippocastani”, che hanno grandi vasi con anse a testa d’ariete al centro di impianti regolari di questa specie arborea. I gruppi simmetrici di ippocastani sono alternati a quinconce di tigli (vale a dire con una disposizione a scacchiera in serie di cinque). Nel cuore del giardino è presente un piccolo chiosco novecentesco, oggi adibito a bar. In questa zona più aperta l’illuminazione serale e notturna è garantita da grandi fari infissi nel terreno. In corrispondenza delle “sale di ippocastani”, verso il viale perimetrale a nord, sorge il grande edificio del Teatro al Parco, caratteristico esempio di architettura degli anni ’30, costruito nel 1939 da Gino Robuschi in sostituzione di un tratto di antiche mura, che nacque come padiglione dell’Ente Fiere e venne poi adibito a teatro.
Proseguendo lungo il viale centrale, si incontrano due zone caratterizzate dalla presenza di boschetti tutti racchiusi da palissade di tigli, con siepi di carpino bianco e acero campestre. Quella più a nord, denominata “Boschetto d’Arcadia”, fu progettata da Petitot nel 1729 in occasione delle nozze di Ferdinando di Borbone e Maria Amalia d’Austria; in posizione leggermente rilevata si trova un tempietto in forma di rovina, che è tra le prime bizzarrie di questo tipo nel giardino settecentesco italiano, e al centro della radura risalta il calco di Sileno ed Egle, il bel gruppo scultoreo in marmo di Carrara di Jean Baptiste Boudard (questo spazio fu lo scenario per rappresentazioni arcadiche e gare di poesia). Dal punto di vista botanico la sala è caratterizzata dalle querce: numerose farnie dal bel portamento, con potenti fusti colonnari che si ramificano in orizzontale solo a diversi metri da terra (i diametri vanno dai 125 ai 150 cm), ombreggiano in cerchio la radura. Nei pressi del Tempietto d’Arcadia crescono anche un vecchio olmo (diametro 72 cm) e, ormai vicino alla peschiera, un ippocastano dallo strano portamento a candelabro, con una bassa impalcatura a cinque grosse branche. La corrispondente zona sul lato opposto del viale centrale, sempre compresa tra alte siepi di carpino bianco e acero campestre, è caratterizzata da piccole e dense formazioni boscate con acero riccio, corniolo, tiglio, orniello e olmo. Anche qui emergono diverse grandi farnie, con diametri dai 112 ai 136 cm, ma anche un olmo (diametro 99 cm), un carpino bianco (diametro 78 cm) e un tiglio (diametro 82 cm). A queste ultime “stanze” si accede dai viali perimetrali, con gli ingressi ornati dalle statue di Flora, Zefiro, Arianna e Bacco (sempre di Boudard).
Due magnolie, tra i rari esempi di specie sempreverdi nel parco, segnano il termine del viale centrale alla peschiera, proprio di fronte alla rigogliosa isoletta dove è collocata la fontana del Trianon. Sull’isola, a fare da sfondo alla fontana, è cresciuto un pittoresco boschetto dove si distinguono le chiome di un grande cipresso calvo e di giovani frassini, querce e ippocastani; nell’acqua nuotano carpe giganti e si muovono i germani.
All’estremità ovest del giardino un’ultima fascia di aiuole regolari affianca la peschiera e in mezzo al parterre centrale spicca il Grand Vase, anch’esso opera di Boudard ed eseguito su disegno di Petitot. Un ultimo viale alberato di tigli sottolinea il confine del parco e conduce agli ingressi di viale Pasini a nord e piazzale Santa Croce a sud; quest’ultimo esibisce la cancellata monumentale disegnata da Petitot e in seguita adornata con il monogramma di Maria Luigia.
Proprio accanto all’uscita verso piazzale Santa Croce spicca un grande olmo (diametro 92 cm), mentre tornando verso la peschiera si intersecano altre piccole formazioni boscate, sempre delimitate da alte siepi di carpino bianco e acero campestre: quella di sinistra è costituita da un boschetto di olmi (uno con diametro di 105 cm) e aceri campestri (uno con diametro di 69 cm); verso l’uscita sul viale che circonda la peschiera risalta una farnia (diametro 120 cm). Nella formazione di destra, insieme a olmi e aceri ricci, si notano un’altra farnia (diametro 132 cm) e un carpino bianco (diametro 63 cm).
Percorrendo il viale perimetrale meridionale, anch’esso ombreggiato da un lunghissimo filare di annosi tigli, si torna lentamente verso l’étoile e prima di raggiungerla si incontra l’elegante Palazzetto Eucherio Sanvitale, gioiello dell’architettura rinascimentale con due eleganti loggette e quattro torri angolari. Il casino è contornato da arbusti di crespino e buddleja, da un albicocco, un albero di Giuda, una sofora assai sofferente e, sul fronte orientale, da un gelso, una farnia (diametro 102 cm) e un bagolaro (diametro 67 cm). Nelle vicinanze, oltre il viale di tigli verso sud, è situata un’area giochi per bambini e, poco oltre, si trovano le Serre degli Aranci, realizzate nel ’700 per il ricovero degli agrumi: oggi l’edificio ospita un bar-ristorante con gradevole cortile interno. Poco oltre si raggiunge l’arco di uscita che dà su via dei Farnese.
L’estinzione della casata dei Farnese nel 1731 portò al totale degrado del giardino: nel 1745, durante la guerra con gli austriaci e la prolungata occupazione da parte delle truppe nemiche, gli alberi d’alto fusto vennero abbattuti per rifornire di legna da ardere l’accampamento dell’esercito austriaco. A metà del ’700, con l’arrivo di Filippo di Borbone (1720-1765), Parma riacquistò il rango di capitale e un progetto di rifacimento del parco fu commissionato al giovane architetto francese Ennemond Alexandre Petitot, che nel 1767 portò a compimento la realizzazione del suo progetto, di un elegante classicismo alla francese. L’impianto propose una divisione in tre settori principali, tutti con funzioni di rappresentanza e celebrazione della corte borbonica. Al tempo dei Borbone Parma il giardino si arricchì di abbellimenti architettonici, nuove prospettive e sculture, realizzate da Jean Baptiste Boudard e Pierre Costant, e raggiunse il massimo splendore nel 1769, quando ospitò i grandi e scenografici festeggiamenti per il matrimonio tra il duca Ferdinando (1751-1802) e Maria Amalia d’Austria.
Dal 1814 al 1847, anno della sua morte, Maria Luigia d’Asburgo, già moglie di Napoleone, fu duchessa di Parma e Piacenza e, pur risiedendo in prevalenza a Sala Baganza e Colorno, dove trasformò i parchi secondo il gusto inglese, apportò anche al Palazzo Ducale di Parma e al suo giardino alcuni miglioramenti: nel giardino, in particolare, molto trascurato durante la dominazione napoleonica, volle l’inserimento di alcuni spazi all’inglese. In questo periodo venne ampliato il jardin fruitiers et potagers nella zona retrostante il palazzo con un impianto di stampo inglese e costruito il foro boario (1837), realizzate l’orangerie (nel 1840; poi demolita nel 1905 per permettere l’ingresso sul lato est) e le serre, creato il giardino per la coltivazione dei fiori, costruita l’abitazione del capo giardiniere. Nel tempo il giardino e alcune strutture assunsero sempre più la caratteristica di spazi pubblici, soprattutto in occasione di visite botaniche e manifestazioni.
Dopo l’Unità d’Italia, l’area verde venne ceduta nel 1865 al Comune di Parma e il parco venne ufficialmente aperto alla cittadinanza nel 1886. Per assecondarne la funzione pubblica, nel 1907 furono abbattute le vecchie mura cittadine e sostituite da inferriate; vennero anche aperti nuovi ingressi, in particolare quello principale verso il centro della città, per il quale si realizzò appositamente il nuovo ponte oggi intitolato a Giuseppe Verdi. Furono aggiunti nuovi arredi: panchine, fontanelle, segnaletica, chioschetti, lampioni a gas e poi elettrici; molte sculture settecentesche furono diversamente collocate. Agli inizi del ’900 la fontana del Trianon, realizzata da Giuliano Mozzani per il giardino della Reggia di Colorno agli inizi del ’700, fu posata nell’isolotto della peschiera. Il parco rinnovato ospitò molte manifestazioni espositive e celebrative, tra cui la mostra agricola allestita nel 1913 per il centenario della nascita di Giuseppe Verdi.
La scarsa manutenzione e gli usi impropri di alcune zone, proseguiti per anni verso la fine del ’900, hanno accelerato il degrado del parco, che all’inizio di questo secolo è stato sottoposto a un completo restauro, che ha interessato il verde, la pavimentazione, le opere d’arte e le architetture sotto la sorveglianza di un comitato scientifico internazionale, prendendo come riferimento l’impianto settecentesco alla francese disegnato da Petitot, che per quanto degradato e in parte alterato era giunto alle soglie del XXI secolo.