Museo Civico di Modena
Largo Porta S.Agostino, 337
Modena (MO)
Manzini Luigi
1805/ 1866
Altra Attribuzione: Andrea Appiani
Giuseppe Fantaguzzi
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 42 (la) 48 (a)
sec. XIX (1836 - 1836)
n. 197
Acquisito sui mercato modenese, il ritratto trova una prima ipotetica attribuzione ad Andrea Appiani nei catalogo del 1924, per essere poi segnalato nell’inventario del 1933 come opera della prima metà del XIX secolo e infine, con maggiore precisione, riferito da Ragghianti (1939) ai primi anni dello stesso secolo; in entrambi i casi, più prudentemente, come di pittore lombardo. Le successive vicende attributive dei quadro sarebbero state ricostruite da Graziella Martinelli Braglia in occasione della mostra del 1980: prospettata da Gabriella Guandalini e Renzo Grandi l’opportunità di una verifica all’interno del panorama artistico locale, Cario Volpe suggeriva il confronto con la personalità del modenese Giuseppe Fantaguzzi. All’artista era stata dedicata tra il 1975 e il 1976 una piccola esposizione incentrata su disegni appartenenti in massima parte alla Biblioteca Poletti (CECCHI GATTOLIN 1975); e proprio questa iniziativa, tesa a ricondurre alla figura di Fantaguzzi opere differenti all’insegna di una vicenda di tutto rispetto, pare avere guidato anche l’ipotesi attributiva del nostro ritratto. Benché non sia possibile annoverare molte novità documentarie sull’attività di Fantaguzzi, sembra rendersi oggi necessario un ripensamento in merito ai risultati prospettati in occasione della mostra del 1975. Sono già state ad esempio notate (RIGHI GUERZ0NI, in La virtù ... 1998, pp. 46-47) le incongruenze stilistiche nel corpus grafico ricondotto in quell’occasione all’artista, entro il quale proprio il gruppo dei ritratti, la cui elevata qualità era già stata segnalata da Cecchi Gattolin, pare difficile da mantenere al pittore: e proprio ai ritratti si faceva naturalmente riferimento per l’attribuzione del dipinto del Museo Civico. Nella scarsità di opere attribuibili con certezza a Fantaguzzi non sembra inoltre opportuno sottovalutare le indicazioni fornite dal Ritratto del cardinale Pietro Maria Soresina Vidoni conservato presso la Sala dei Cardinali del Collegio San Carlo di Modena, firmato e datato 1819 (BENATI, PERUZZI 1991, pp. 210-211), e dal più noto autoritratto a pastello, purtroppo in cattive condizioni di conservazione, dell’Istituto d’arte A. Venturi: in entrambi i casi sembrano innanzitutto prevalere nella definizione dei tratti fisionomici una ricerca di regolarità e un’evidenziazione plastica da ricondurre alla cultura neoclassica e al primato dei modelli scultorei del periodo. Conferme in tal senso giungono anche da altre opere dell’artista, come la Santa Cecilia eseguita per la chiesa del Voto o il Sant’Antonio da Padova per la chiesa di San Giovanni di Spilamberto (AMATO 1999, pp. 182-185). Per contro, il ritratto dei Civici Musei mostra una sensibilità orientata ha senso prettamente pittorico, con una stesura ora a velature, ora per più libere pennellate di colore. Sembra dunque a chi scrive opportuno, per il ritratto in oggetto, abbandonare il nome di Fantaguzzi. Mantenendo come utile il riferimento all’ambito modenese, il successivo dato da considerare potrà essere quello di ordine cronologico. Si intende in tal senso accogliere per il dipinto il rinvio, già suggerito da Graziella Martinelli Braglia (anche se ancora in collegamento alla figura di Fantaguzzi), agli anni trenta del XIX secolo (MARTINELLI BRAGLIA 1994, p. 620), in cui s’impone la personalità di Luigi Manzini. Sembra puntare in questa direzione il confronto con il ritratto che Manzini esegue del canonico Antonio Gallinari (Modena, Museo Civico), non documentato ma già riconosciuto all’artista in occasione dell’Esposizione del Centenario verdiano, tenuta a Parma nel 1913. Per provare a definire una più delimitata cronologia dell’opera, in via del tutto ipotetica, si potrebbe persino richiamare un preciso momento documentato dell’attività giovanile dell’artista: nel 1836, Manzini esponeva presso il palazzo del marchese Rangoni diverse sue opere; tra queste, come veniva prontamente segnalato sui giornali locali, “molti ritratti, la cui somiglianza e verità facevano una vaga illusione ai riguardanti” (“La voce della Verità”, 1836).