Faenza
sito pluristratificato
area urbana
ambito culturale romano
secc. II a.C./ VI d.C.
Faenza viene fondata occupando un antico meandro del Lamone, sulla sponda sinistra del torrente, là dove era fiorito un precedente mercato indigeno, importante crocevia commerciale verso la costa (Ravenna) e verso l’entroterra tirrenico (Etruria settentrionale), lungo la direttrice valliva che ne rappresenterà il cardine massimo e sarà ricalcata dalla romana via Faventina. All’incrocio fra la via pedemontana, poi ripresa dal tracciato della via Emilia, e lo sbocco in pianura del Lamone, la nuova città dal nome augurale vede la luce nel II sec. a.C., ma la data di fondazione rimane oscura. A parere di alcuni, la sua nascita si colloca fra il momento in cui comincia la colonizzazione del territorio in precedenza occupato dai Galli (173 a.C.) e la metà dello stesso secolo, quando lo storico greco Polibio, visitando la regione al seguito dell’amico Scipione l’Emiliano, la descrive in pieno fervore edilizio. Sicuramente al momento della realizzazione della strada consolare da parte di Emilio Lepido (187 a.C.) il centro esiste già, visto che la via stessa ne costituisce il decumano massimo (attuale corso Mazzini Saffi).

Piuttosto esigue sono le informazioni relative alla storia romana di Faventia. Sconosciuto resta il suo carattere amministrativo e di essa si sa unicamente che agli inizi del I sec. a.C. è iscritta alla tribù Pollia. Faenza ha rappresentato certamente uno dei punti di approvvigionamento per la flotta militare stanziata a Ravenna da Augusto, ma pochi episodi storici sembrano averla avuta come teatro: il principale è la battaglia svoltasi nell’82 a.C. tra i soldati di Silla e quelli di Mario presso Faenza, di notte, fra i vigneti che costeggiavano la via Faventina.
In epoca tardoromana la rivitalizzazione degli antichi centri propiziata da Teodorico sembra toccare anche la città, ove hanno sicuramente stanza alcuni funzionari di corte. Le fonti antiche appaiono un po’ più loquaci a proposito di alcune delle attività produttive che caratterizzano il territorio faentino e la città stessa. La viticoltura prosperava, se dobbiamo credere appunto alla notazione paesaggistica di Appiano, ma più ancora agli scrittori di agricoltura (Catone, Varrone, Columella) unanimi nel rammentare le buone prestazioni delle vigne locali, che rendevano circa 730 litri di vino per iugero. E’ noto poi il passo della Naturalis Historia di Plinio ove si sottolinea come i lini prodotti a Faenza detenessero il secondo posto in Europa e fossero apprezzati in modo particolare per il loro candore.


Sin dalla sua fondazione, la città vede lo spazio urbano delimitato da due corsi d’acqua: ad est il Lamone e a ovest un canale artificiale di poco esterno all’odierno rettifilo via Cavour e corso Baccarini. Lo schema viario antico è sopravvissuto in larga parte sino al presente: del decumano massimo, coincidente - come detto – con la via Emilia, alcuni tratti superstiti sono stati rilevati in diverse occasioni proprio sotto l’attuale livello stradale. Una porzione di basolato riferibile ad un cardine minore, si è inoltre conservato nel sottosuolo di via Manfredi.

Dal punto di vista architettonico, recuperi e scavi archeologici hanno messo in evidenza che dopo una prima fase urbana risalente alla fine del II secolo a.C., al pari di molti altri centri romani della regione la città conosce in età augustea un momento di riorganizzazione e di ammodernamento edilizio. Tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. si notano, invece, soprattutto interventi di ristrutturazione piuttosto che vere e proprie costruzioni ex novo. La qualità degli interni appare – a giudicare dai ricchi apparati musivi, spesso ottima tecnica esecutiva e di grande ricchezza decorativa – piuttosto alta. L’attività musiva continuerà ininterrotta sino all’età tardo-antica, periodo durante il quale Faenza dovette godere di un particolare benessere, grazie alla prossimità con Ravenna.

Gli spazi pubblici sono scarsamente testimoniati. All’incrocio fra cardo e decumano massimi era situato il foro, di cui non è peraltro attestata l’effettiva estensione. Nei suoi pressi, ritrovamenti effettuati fra gli anni ’70 e ’80 in punti diversi dell’area occupata dalla sede della Banca di Romagna (presso l'ex palazzo Balla, nell'angolo tra c.so Garibaldi e via Costa) indiziano l’esistenza di un importante edificio a funzione pubblica caratterizzato da un ricco apparato decorativo, cui rimandano i resti architettonici (fra cui la porzione di un grande spiovente marmoreo) e scultorei recuperati. La presenza di una potente struttura muraria di particolare orientamento e la qualità dei reperti marmorei, includenti i frammenti di una scultura colossale, rendono plausibile, ancorché da sottoporre ad ulteriori verifiche, l’ipotesi di un edificio teatrale. Un grande impianto termale di età imperiale è stato localizzato in piazza del Popolo.
Anche per l’edilizia privata sussistono notevoli lacune conoscitive, specialmente quanto al numero e alla distribuzione degli edifici abitativi all’interno dei singoli quartieri. E’ negli isolati centrali, ad ovest del cardo massimo, che si sono registrati nel tempo i maggiori rinvenimenti relativi a domus i quali, in aggiunta alle indagini più recenti effettuate in Palazzo Pasolini e nell’area dell’ex palazzo Grecchi, hanno permesso il recupero di notevoli esempi di arte musiva che offrono un esauriente panorama di questo tipo di espressione artistica sino ad almeno al VI sec. d.C. Oltre ai mosaici di vicolo e palazzo Pasolini, vanno menzionati quelli di via Cavour, di via Dogana, di via Ubaldini e di piazza dei Martiri.

All’esterno del perimetro urbano, le aree sepolcrali si dislocavano ai lati delle strade principali in uscita dalla città, soprattutto lungo la via Emilia ove si sono rinvenute a più riprese sepolture. Alcune stele della necropoli ad est della strada consolare (oggi conservate nel Lapidario Civico) vennero anche reimpiegate nell’antico ponte sul Lamone, coincidente con il medievale Ponte delle Torri, posto in corrispondenza del decumano massimo e crollato nel 1842 in seguito ad una piena. Attestato da notizie delle cronache e dai ruderi ancora visibili fino alla metà dell’Ottocento, oggi non resta di quest’ultimo alcuna traccia visibile.