Museo Civico di Modena
Largo Porta S.Agostino, 337
Modena (MO)
Fontana Lavinia
1552/ 1614
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 98 (la) 125,5 (a)
sec. XVI (1575 - 1584)
n. 85
L’attuale formato ovale si deve a una decurtazione avvenuta in antico. Lo storico modenese (1523 circa - 1584) siede accanto a un tavolo sul quale poggiano alcuni libri e gli strumenti per la scrittura. Dall’apertura nel fondo si scorge l’andirivieni di alcuni personaggi, da riconoscere forse (URBINI 1994) negli studenti della Compagnia della Perseveranza, un’associazione promossa dal cardinale Gabriele Paleotti nel 1574 e per la quale Sigonio dettò i primi statuti (PRODI 1959, p. 217). L’ultimo restauro ha portato alla luce la firma frammentaria della pittrice, alla quale il dipinto era già tradizionalmente attribuito. Siamo informati dalle fonti che la Fontana ripeté più volte l’effigie del Sigonio. Un ritratto da lei eseguito fu inviato a Roma per entrare nella galleria di uomini illustri di Alfonso Chacon (1540 circa - 1599), come si ricava da una lettera di ringraziamento che l’erudito spagnolo spediva alla pittrice in data 17 ottobre 1578 (GALLI 1940, pp. 115-116). Un altro, in un “ovato di rame”, fu mandato dallo stesso Sigonio al collezionista romano Fulvio Orsini che glielo aveva esplicitamente richiesto, con l’invito a ringraziarne la Fontana “perciocché Ella sa, come tutti siamo avidi di lode, et tanto più le donne giovani, che noi huomini attempati” (le lettere del 3 novembre e del 12 dicembre 1579, conservate nella Biblioteca Vaticana e pubblicate integralmente da CANTARO 1989, pp. 306-307 nn. 7-8, sono testimonianze significative dei rapporti intercorsi tra Lavinia e gli ambienti colti romani ben prima del suo viaggio a Roma, effettuato nel 1603-1604). È difficile appurare se l’esemplare qui considerato, a Modena fin da quando, in data 17 agosto 1655, veniva legato per lascito testamentario di Antonio Guarini al Municipio (ASCMo, Cancelleria Ducale, Carteggiparticolari), sia in relazione con il primo dei ritratti citati (in questo senso si è espressa Silvia Urbini); certo è che, come conferma anche V. Fortunati Pietrantonio (1986), la sua formulazione stilistica sottintende una datazione non lontana da quella ricavabile dalle lettere ora menzionate; e valgano soprattutto i riferimenti ad altri ritratti datati in quegli anni: al cosiddetto Senatore Orsini del Museo di Bordeaux (1575), all’Alfonso Lorenzo Arezzi già in collezione privata a Imola, che si avvale di identiche soluzioni compositive e persino della stessa ambientazione, o ancora al grande Ritratto della famiglia Gozzadini della Pinacoteca di Bologna, di poco posteriore (1584). Si tratta di una delle caratterizzazioni più potenti uscite dal pennello della Fontana, altrove più che altro incline a un’ostentata cura degli abiti e dei gioielli. Qui invece il sobrio realismo che presiede alla lucida descrizione del manto foderato di pelliccia e degli oggetti sul tavolo, all’espressività del volto e al contenuto ma eloquente gestire delle braccia che accompagnano un discorso che l’effigiato ha avviato col riguardante, porta a un risultato di notevole livello qualitativo, e rivela come Lavinia fosse al corrente delle correnti più moderne della contemporanea ritrattistica, facendo tesoro delle novità introdotte a Bologna da Bartolomeo Passerotti, ma rileggendole con un’attitudine severa e astratta che ne dimostra l’ossequio nei confronti di quelle esigenze che avrebbero di lì a poco trovato una voce autorevole nella pubblicazione del “Discorso sulle imagini sacre et profane” del cardinale Paleotti (1582), dove è l’invito, per il ritratto, alla maggiore oggettività ma anche alla ‘gravità’ e al ‘decoro’.