tela/ pittura a olio
54x75 con cornice
sec. XX (1960 - 1960)
Di densità organica, ricercata dichiaratamente dall’artista, l’opera rappresenta un esempio bellissimo: una coralità di verdi profondi e boschivi raccolti da una materia sontuosa accesa dallo splendore di accensioni di porpora e viola disegna un intrico di steli, foglie, frutti. Anche negli anni precedenti molte nature morte erano state per lui una fonte di ispirazione primaria, al pari del paesaggio dell’Adda, di Imbersago, delle bagnanti, dei nudi femminili: fiori, carciofi, campi di granoturco, centauree, calendule erano entrati nel suo mondo come presenze prepotentemente vitali, segnate da una sorta di urgenza espressiva. Ciò che emerge da questi nuclei tematici è però sempre la poetica di Morlotti, la sua scrittura organica che incide come un tatuaggio sulla pelle della tela una sensualità in fieri, divorante che ha a che fare con una fine che è sempre inizio di altre storie. È il racconto della metamorfosi continua delle cose della terra, struggente certo, come tutto ciò che cambia e da cui ci si deve distaccare, ma sempre affascinante e incommensurabilmente viva. Questi vegetali preziosi, bellissimi nel loro senso di palpito naturale, si lasciano toccare dallo sguardo attraverso una grazia carnale, di corpo vissuto, immerso in una fusione panica con la natura, sgranati come frutti di sangue e pelle, gemme pulsanti di bellezza tattile, profumata di note aspre e boschive. Non vi è differenza tra questi e un nudo femminile: certa è sempre la loro bellezza, la loro sacralità di materia luminosa e il loro essere, agli occhi dell’artista, sempre una ierofania.
Questo testo è parte della scheda di Sabina Ghinassi per il catalogo della Collezione Bianchedi-Bettoli/Vallunga pubblicato da Bononia University Press nella collana Cataloghi dell’Istituto per i Beni Artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna..