FONTE
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AutoreMarziale
Titolo operaEpigrammata
Anno86-101 d.C.
Periodoetà flavia
EpocaAlto Imperiale
Noteed.: S. Beta (a cura di), Epigrammi, Milano 1995 (trad. del curatore).
PASSO
LocalizzazioneI, 31
Testo originaleHos tibi, Phoebe, vovet totos a vertice crines / Encolpos, domini centurionis amor, / Grata Pudens meriti tulerit cum praemia pili. / Quam primum longas, Phoebe, recide comas, / Dum nulla teneri sordent lanugine voltus / Dumque decent fusae lactea colla iubae; / Utque tuis longum dominusque puerque fruantur / Muneribus, tonsum fac cito, sero virum.



TraduzioneTutti questi capelli della sua testa li dedica a te, o Febo Encolpo, l'amore di Pudente, il centurione suo signore se riporterà in premio il grado meritato di primipilario. Taglia, o Febo, i lunghi capelli il prima possibile, mentre nessun pelo macchia il suo tenero volto, mentre il latteo collo si addice alle lunghe ciocche: affinché il fanciullo e il suo padrone godano a lungo dei tuoi doni, fallo presto rasato, fallo tardi uomo.

Note86 d.C.
PASSO
LocalizzazioneI, 43
Testo originaleBis tibi triceni fuimus, Mancine, vocati / Et positum est nobis nil bere praeter aprum, / Non quae de tardis servantur vitibus uvae / Dulcibus aut certant quae melimela favis, / Non pira quae longa pendent religata genesta / Aut imitata brevis Punica grana rosas, / Rustica lactantes nec misit Sassina metas / Nec de Picenis venit oliva cadis: / Nudus aper, sed et hic minimus qualisque necari / A non armato pumilione potest. / Et nihil inde datum est; tantum spectavimus omnes: / Ponere aprum nobis sic et harena solet. / Ponatur tibi nullus aper post talia facta, / Sed tu ponaris cui Charidemus apro.

TraduzioneSiamo stati invitati in sessanta, Mancino, e ci hai portato da mangiare soltanto un cinghiale. Non ci hanno servito l'uva conservata a lungo sulle vigne, né le mele cotogne che gareggiano in dolcezza col miele, né le pere legate che pendono da un lungo ramo di ginestra, né le melograne di Cartagine dal colore delle rose caduche, né i formaggi lattosi mandati da Sarsina contadina, né le olive all'ascolana dagli orci piceni: un cinghiale nudo, e minuscolo per di più, tanto piccolo che lo poteva fare fuori anche un nano disarmato. E dopo il cinghiale, nulla: abbiamo potuto solo guardare, come guardiamo i cinghiali dell'arena. Che mai, dopo ciò che hai fatto nessuno ti porti un cinghiale: ma che tu sia portato davanti a un cinghiale nell'arena, per fare la fine del ladrone Caridemo.


Note86 d.C.
PASSO
LocalizzazioneII, 43
Testo originale“Koinà phìlon” haec sunt, haec sunt tua, Candide, “koinà”, / Quae tu magnilocus nocte dieque sonas: / Te Lacedaemonio velat toga lota Galaeso / Vel quam seposito de grege Parma dedit: / At me, quae passa est furias et cornua tauri, / Noluerit dici quam pila prima suam. / Misit Agenoreas Cadmi tibi terra lacernas: / Non vendes nummis coccina nostra tribus. / Tu Libycos Indis suspendis dentibus orbis: / Fulcitur testa fagina mensa mihi. / Inmodici tibi flava tegunt chrysendeta mulli: / Concolor in nostra, cammare, lance rubes. / Grex tuus Iliaco poterat certare cinaedo: / At mihi succurrit pro Ganymede manus. / Ex opibus tantis veteri fidoque sodali / Das nihil et dicis, Candide, “koinà phìlon”?

Traduzione «Gli amici hanno tutto in comune»: eccole le cose "in comune", quelle che tu, Candido, decanti giorno e notte ad alta voce: vesti una toga lavata nel Galeso, il fiume di Taranto spartana, oppure una toga che viene dal tuo gregge scelto di Parma: io ne vesto una che non vorrebbe avere neanche il fantoccio che ha sopportato la furia e le cornate del toro nell'arena. La terra di Cadmo tebano ti ha mandato mantelli fenici: i miei mantelli di porpora non li vendi neanche per tre lire. Tu poggi le tue tavole tonde di legno libico su zanne d'avorio indiano: il mio tavolino di faggio si appoggia sui mattoni. I tuoi biondi piatti d'oro sono ricoperti da triglie smisurate: tu, gamberetto, sei rosso come la mia ciotola di terracotta. Il tuo gregge di schiavi poteva gareggiare con il pastore troiano: invece di Ganimede mi devo fare aiutare dalla mia mano. Hai tutte queste ricchezze, Candido: ma al tuo vecchio, fedele compagno non dai nulla e dici: «Gli amici hanno tutto in comune»?

Note86/87 d.C.
PASSO
LocalizzazioneII, 74
Testo originaleCinctum togatis post et ante Saufeium, / quanta reduci Regulus solet turba, / ad alta tonsum templa cum reum misit, / Materne, cernis? Invidere nolito: / comitatus iste sit precor tuus numquam. / Hos illi amicos et greges togatorum /
Fuficulenus praestat et Faventinus.

TraduzioneLo vedi Saufeio, circondato davanti e di dietro dalla gente in toga – tanta quanta quella che circonda l'avvocato Regolo quando ha mandato il suo cliente a dedicare la sua barba agli dei Supremi? Non lo invidiare, Materno. Prego che tu non goda mai di una simile compagnia. Quegli amici, quella schiera di gente togata, glieli procurano gli usurai Fuficuleno e Faventino.
Note86/87 d.C.: è dubbio che l'usuraio Faventino fosse di Faenza.
PASSO
LocalizzazioneIII, 4
Testo originaleRomam vade, liber: si, veneris unde, requiret, / Aemiliae dices de regione viae. / Si, quibus in terris, qua simus in urbe, rogabit, / Corneli referas me licet esse Foro. / Cur absim, quaeret: breviter tu multa fatere: / "Non poterat vanae taedia ferre togae". / "Quando venit?" dicet: tu respondeto: "Poeta / Exierat: veniet. cum citharoedus erit".
TraduzioneO libro, parti per Roma: se ti chiederanno da dove vieni, risponderai che vieni dalla regione della via Emilia. Se ti domanderanno in quale terra, in quale città mi trovo, puoi dire che sono al Foro di Cornelio, la città di Imola. Vorranno sapere perché sono via: tu rispondi veloce: «Non sopportava la seccatura di portare la toga del cliente». Ti diranno: «Quando torna?». Rispondi: «Quando se ne andò era poeta: quando saprà suonare la cetra, ritornerà».
Note87/88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIII, 56
Testo originaleSit cisterna mihi, quam vinea, malo Ravennae, / Cum possim multo vendere pluris aquam.
TraduzionePreferirei una cisterna d'acqua piuttosto che una vigna a Ravenna: potrei vendere l'acqua a un prezzo maggiore.
Note87/88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIII, 57
Testo originaleCallidus inposuit nuper mihi copo Ravennae: / Cum peterem mixtum, vendidit ille merum.
TraduzioneUn oste astuto di Ravenna mi ha fatto un bello scherzetto io chiedevo vino annacquato, lui me lo ha dato schietto.
Note87/88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIII, 58.31-36
Testo originaleNec venit inanis rusticus salutator: / Fert ille ceris cana cum suis mella / Metamque lactis Sassinate de silva; / Somniculosos ille porrigit glires, / Hic vagientem matris hispidae fetum, / Alius coactos non amare capones.


TraduzioneIl contadino non viene a mani vuote a salutare il suo padrone: porta il miele bianco nella sua cera, la forma di latte che viene dalla foresta di Sarsina; chi porta i ghiri sonnolenti, chi il cucciolo piangente della capra ispida, chi i capponi, costretti a non amare.

PASSO
LocalizzazioneIII, 59
Testo originaleSutor cerdo dedit tibi, culta Bononia, munus, / Fullo dedit Mutinae: nunc ubi copo dabit?



TraduzioneUn ciabattino, o Bologna la dotta, ti ha offerto i giochi; un lavandaio li ha dati a Modena: un oste a chi li offrirà?
Note87/88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIII, 67
Testo originaleCessatis, pueri, nihilque nostis, / Vaterno Rasinaque pigriores, / Quorum per vada tarda navigantes Lentos tinguitis ad celeuma remos. / Iam prono Phaethonte sudat Aethon / Exarsitque dies, et hora lassos / Interiungit equos meridiana. / At vos tam placidas vagi per undas / Tuta luditis otium carina. / Non nautas puto vos, sed Argonautas.
TraduzioneBasta, ragazzi, non capite niente, siete più pigri del Vaterno [Santerno] e della Rasina, i lenti fiumi che percorrete navigando, lentamente bagnando i remi al canto cadenzato del timoniere. Già Fetonte si china, già Etone suda, il giorno brucia, l'ora del mezzogiorno stacca i cavalli stanchi dalla biga. Ma voi, vagando per le placide onde, vi fate beffe dell'ozio al riparo della vostra barchetta Non siete navigatori: siete Argonauti svogliati.
Note87/88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIII, 91
Testo originaleCum peteret patriae missicius arva Ravennae, / Semiviro Cybeles cum grege iunxit iter. / Huic comes haerebat domini fugitivus Achillas / Insignis forma nequitiaque puer. / Hoc steriles sensere viri: qua parte cubaret / Quaerunt. Sed tacitos sensit et ille dolos. / Mentitur, credunt. Somni post vina petuntur: / Continuo ferrum noxia turba rapit / Exciduntque senem, spondae qui parte iacebat; / Namque puer pluteo vindice tutus erat. / Subpositam quondam fama est pro virgine cervam, / At nunc pro cervo mentula subposita est.
TraduzioneUn veterano che tornava ai campi della sua Ravenna incontra lungo la strada una schiera di castrati di Cibele. Viaggiava con lui Achilla, uno schiavo fuggitivo, un ragazzo eccezionale per bellezza e furberia. Gli uomini sterili se ne accorgono: chiedono dove dorma. Ma Achilla comprese il loro inganno silenzioso: mente, gli credono. Dopo una bevuta, vanno a dormire: subito la schiera sanguinaria afferra un pugnale, castrando il vecchio soldato che giaceva sulla sponda del letto; il ragazzo infatti se ne stava al sicuro dietro un parapetto. Si dice che una cerva prese un tempo il posto di una vergine: ora un cazzo ha preso il posto di un ragazzo.
Note87/88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIII, 93
Testo originaleCum tibi trecenti consules, Vetustilla, / Et tres capilli quattuorque sint dentes, / Pectus cicadae, crus colorque formicae; / Rugosiorem cum geras stola frontem / Et araneorum cassibus pares mammas; / Cum conparata rictibus tuis ora / Niliacus habeat corcodilus angusta, / Meliusque ranae garriant Ravennates, / Et Atrianus dulcius culex cantet, / Videasque quantum noctuae vident mane, / Et illud oleas quod viri capellarum, / Et anatis habeas orthopygium macrae, / Senemque Cynicum vincat osseus cunnus; / Cum te lucerna balneator extincta / Admittat inter bustuarias moechas; / Cum bruma mensem sit tibi per Augustum / Regelare nec te pestilentia possit: / Audes ducentas nuptuire post mortes / Virumque demens cineribus tuis quaeris / Prurire. Quid si Sattiae velit saxum? / Quis coniugem te, quis vocabit uxorem, / Philomelus aviam quam vocaverat nuper? / Quod si cadaver exigis tuum scalpi, / Sternatur Acori de triclinio lectus, / Talassionemqui tuum decet solus, / Ustorque taedas praeferat novae nuptae: / Intrare in istum sola fax potest cunnum.
TraduzioneHai visto morire trecento consoli, Vetustilla, hai tre capelli e quattro denti, il seno di una cicala, le gambe e il colore di una formica; la tua fronte ha più pieghe di una veste, le tue mammelle sono simili alle tele dei ragni; le fauci di un coccodrillo del Nilo sono minuscole se paragonate alle tue mascelle; le rane di Ravenna hanno un gracidio più delicato, la zanzara dell'Adriatico un ronzio più dolce; la tua vista è come quella delle civette di giorno, hai l'odore del maschio delle caprette, hai il coccige di un'anatra magra, la tua fica ossuta batterebbe un filosofo cinico decrepito; il bagnino ti fa entrare, quando la fiaccola è spenta, tra le puttane che battono nei cimiteri; anche nel mese d'agosto per te è come d'inverno, nemmeno la febbre di una pestilenza ti può scongelare: e nonostante questo, dopo duecento morti, ti vuoi sposare cerchi, pazza che sei, un marito che bruci d'amore per la tua tomba. E se Sattia provasse le tue stesse voglie? Chi ti chiamerà "sposa", chi "moglie", tu che il vecchio Filomelo chiamava "nonna"? Se pretendi che qualcuno gratti il tuo cadavere, si prepari un letto dal triclinio di Acori, l'impresario di pompe funebri, il solo che si addice alle tue nozze Il becchino porterà le fiaccole alla novella sposa: solo una torcia può entrare nella tua cosa.
Note87/88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIV, 13
Testo originaleClaudia, Rufe, meo nubit Peregrina Pudenti: / Macte esto taedis, o Hymenaee, tuis. / Tam bene rara suo miscentur cinnama nardo, / Massica Theseis tam bene vina favis; / Nec melius teneris iunguntur vitibus ulmi, / Nec plus lotos aquas, litora myrtus amat. / Candida perpetuo reside, Concordia, lecto, / Tamque pari semper sit Venus aequa iugo: / Diligat illa senem quondam, sed et ipsa maritc / Tum quoque, cum fuerit, non videatur anus.

TraduzioneO Rufo, Claudia Peregrina ha sposato il mio Pudente: onore alle tue fiaccole, o Imeneo, dio delle nozze. Il raro cinnamomo si unisce altrettanto bene al nardo, altrettanto il vino Massico al miele di Teseo ateniese; gli olmi non si possono affiancare meglio alle tenere viti, né il loto ama di più l'acqua, né il mirto le spiagge. Rimani sempre nel loro letto, o Concordia serena, e che Venere sia sempre giusta verso tutti e due: che lei ami sempre il marito anche quando lui invecchierà, che lei non sembri mai vecchia a lui, anche quando lo sarà.
Note88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIV, 29
Testo originaleObstat, care Pudens, nostris sua turba libellis / Lectoremque frequens lassat et implet opus. / Rara iuvant: primis sic maior gratia pomis, / Hibernae pretium sic meruere rosae; / Sic spoliatricem commendat fastus amicam, / Ianua nec iuvenem semper aperta tenet. / Saepius in libro numeratur Persius uno, / Quam levis in tota Marsus Amazonide. / Tu quoque de nostris releges quemcumque libellis, / Esse puta solum: sic tibi pluris erit.



TraduzioneIl numero eccessivo dei miei libri, caro il mio Pudente, li danneggia: poesie che escono troppo spesso stancano, saziano il lettore. Poche poesie piacciono: le prime mele sono più gradite, le rose invernali meritano il loro prezzo, la riluttanza aumenta il prestigio dell'amante che ti spoglia, la porta sempre aperta non fa fermare i giovani. Conta di più Persio con un solo libro di satire che il vuoto Marso con tutta la sua “Amazzonomachia”. Vale anche per te: qualunque dei miei libri tu rileggerai, credi che sia l'unico: avrà per te maggior valore.
Note88 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIV, 37
Testo originale'Centum Coranus et ducenta Mancinus / Trecenta debet Titius, hoc bis Albinus, / Decies Sabinus alterumque Serranus; / Ex insulis fundisque tricies soldum, / Ex pecore redeunt ter ducena Parmensi': / Totis diebus, Afer, hoc mihi narras / Et teneo melius ista, quam meum nomen / Numeres oportet aliquid, ut pati possim: / Cotidianam refice nauseam nummis: / Audire gratis, Afer, ista non possum.




Traduzione«Centomila mi deve Corano, duecentomila Mancino, trecentomila Tizio, seicentomila Albino, un milione Sabino, un altro milione Serrano. La rendita delle case e dei terreni è di tre milioni; il gregge di Parma mi dà seicentomila sesterzi». Tutti i giorni, Afro, è sempre la stessa storia: i tuoi profitti privati ormai li so a memoria. Se vuoi che io sopporti ancora, qualcosa devi darmi i soldi possono ripagarmi di questa noia giornaliera: gratis, con queste storie non puoi più tormentarmi.
Note88/89 d.C.
PASSO
LocalizzazioneV, 13
Testo originaleSum, fateor, semperque fui, Callistrate, pauper, / Sed non obscurus nec male notus eques, / Sed toto legor orbe frequens et dicitur 'Hic est', / Quodque cinis paucis, hoc mihi vita dedit. / At tua centenis incumbunt tecta columnis / Et libertinas arca flagellat opes, / Magnaque Niliacae servit tibi glaeba Syenes, / Tondet et innumeros Gallica Parma greges. / Hoc ego tuque sumus: sed quod sum, non potes esse: / Tu quod es, e populo quilibet esse potest.

TraduzioneSono povero, Callistrato, e — confesso — lo sono sempre stato, ma sono pur sempre un cavaliere, né oscuro né sconosciuto. Tutta Roma mi legge, tutti vedendomi gridano: «Guarda! Marziale!»: la fama, che la morte concede a pochi, io l'ho avuta dalla vita. Centinaia di colonne sostengono la tua casa, la tua cassaforte di liberto è piena di soldi, in Africa Siene ti manda il grano del Nilo, nella Gallia Cisalpina Parma tosa per te la lana di molte pecore. Io e te siamo così: ma quello che sono io, non puoi esserlo tu: quello che sei tu, può esserlo chiunque.


Note88/89 d.C.
PASSO
LocalizzazioneV, 28
Testo originaleUt bene loquatur sentiatque Mamercus, / Efficere nullis, Aule, moribus possis: / Pietate fratres Curvios licet vincas, / Quiete Nervas, comitate Rusones, / Probitate Macros, aequitate Mauricos, / Oratione Regulos, iocis Paulos: / Robiginosis cuncta dentibus rodit. / Hominem malignum forsan esse tu credas: / Ego esse miserum credo, cui placet nemo.

TraduzioneAulo, non c'è nessuna tua dote morale che sia capace di fare in modo che Mamerco ti stimi e parli bene di te: anche se tu sei più devoto dei fratelli Curvi, più calmo dei Nerva, più affabile dei Rusoni, più onesto dei Macri, più giusto dei Maurici, più eloquente dei Regoli, più spiritoso dei Paoli, i suoi denti invidiosi rodono tutto. Tu pensi forse che sia un uomo malevolo: io credo che sia un infelice l'uomo al quale non piace nessuno.

Note88/89 d.C.
PASSO
LocalizzazioneV, 48
Testo originaleQuid non cogit amor? secuit nolente capillos / Encolpos domino, non prohibente tamen. / Permisit flevitque Pudens: sic cessit habenis / Audaci questus de Phaethonte pater: / Talis raptus Hylas, talis deprensus Achilles / Deposuit gaudens, matre dolente, comas. / Sed tu ne propera — brevibus ne crede capillis — / Tardaque pro tanto munere, barba, veni.




TraduzioneL'amore, cosa non costringe a tare? Encolpo s'è tagliato i capelli — il padrone non voleva, ma non gliel'ha impedito. Pudente ha dato piangendo il suo permesso: così il Sole, pur contrario all'audacia di Fetonte, gli cedette le redini; così lieti rinunciarono alle chiome Ila, rapito dalle ninfe, e Achille, sorpreso a Sciro, nonostante il dolore della madre. Ma tu, o barba, non aver fretta, non fidarti dei capelli corti: dopo il suo grande sacrificio, devi crescere lentamente.
Note88/89 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVI, 54
Testo originaleTantos et tantas si dicere Sextilianum, / Aule, vetes, iunget vix tria verba miser. / 'Quid sibi vult?' inquis. Dicam, quid suspicer esse / Tantos et tantas Sextilianus amat.



TraduzioneSe proibisci a Sestiliano di dire "grande" e "grosso", Aulo, quel disgraziato non saprà dire tre parole in croce. «Ma cosa vuole?» chiedi. Ti dirò quello che penso: a Sestiliano piacciono grandi e con un grosso coso.
Note90 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVI, 58
Testo originaleCernere Parrhasios dum te iuvat, Aule, triones / Comminus et Getici sidera pigra poli, / O quam paene tibi Stygias ego raptus ad undas / Elysiae vidi nubila fusca plagae! / Quamvis lassa, tuos quaerebant lumina vultus / Atque erat in gelido plurimus ore Pudens. / Si mihi lanificae ducunt non pulla sorores / Stamina nec surdos vox habet ista deos, / Sospite me sospes Latias reveheris ad urbes / Et referes pili praemia clarus eques.

TraduzioneMentre, Aulo Pudente, ti divertivi a guardare da vicino le stelle parrasie e gli astri pigri del cielo tracio, io, quasi strappato a te, presso le onde dello Stige ho visto le nuvole scure dei Campi Elisi. Anche se stanchi, i miei occhi cercavano il tuo viso e il nome di Aulo Pudente era sulle mie labbra fredde. Se le Parche sorelle filatrici non oscurano i miei fili, se gli dei non restano sordi a queste mie parole, tornerai salvo — salvo anch'io — alle città del Lazio, come nobile cavaliere, come centurione primipilo.
Note90 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVI, 85
Testo originaleEditur en sextus sine te mihi, Rufe Camoni, / Nec te lectorem sperat, amice, liber: / Impia Cappadocum tellus et numine laevo / Visa tibi cineres reddit et ossa patri. / Funde tuo lacrimas orbata Bononia Rufo, / Et resonet tota planctus in Aemilia: / Heu qualis pietas, heu quam brevis occidit aetas! / Viderat Alphei praemia quinta modo. / Pectore tu memori nostros evolvere lusus, / Tu solitus totos, Rufe, tenere iocos, / Accipe cum fletu maesti breve carmen amici / Atque haec absentis tura fuisse puta.
TraduzioneEcco, esce senza di te, o Camonio Rufo, il mio sesto libro, e non posso sperare che tu lo legga, amico mio: la terra crudele dei Cappadoci, visitata sotto presagi funesti, restituisce a tuo padre le tue ceneri, le ossa. Versa lacrime, Bologna, privata del tuo Rufo, il suono del tuo pianto si senta per tutta l'Emilia: ahimè che dolore, ahimè che breve giovinezza è morta! Aveva appena visto la quinta gara olimpica del fiume Alfeo. Tu che solevi recitare a memoria i miei scherzi, che ricordavi, o Rufo, tutti i miei versi spiritosi, accetta la breve poesia del tuo triste amico che piange, considerala l'incenso funebre di chi si trova lontano.
Note90 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVI, 78
Testo originalePotor nobilis, Aule, lumine uno / Luscus Phryx erat alteroque lippus. / Huic Heras medicus 'Bibas caveto: / Vinum si biberis, nihil videbis'. / Ridens Phryx oculo 'Valebis' inquit. / Misceri sibi protinus deunces, / Sed crebros iubet. Exitum requiris? / Vinum Phryx, oculus bibit venenum.

TraduzioneCaro il mio Aulo, Frige, il celebre bevitore, con un occhio non ci vedeva e nell'altro aveva le cispe. A lui aveva detto il medico Era: «Non bere: se berrai vino, non ci vedrai più». Frige, ridendo, ha detto all'occhio: «Addio». Ha comandato di versargli subito due litri, e di vino schietto. Vuoi sapere com'è andata a finire? Frige ha bevuto il vino, l'occhio il veleno.


Note90 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVII, 11
Testo originaleCogis me calamo manuque nostra / Emendare meos, Pudens, libellos. / O quam me nimium probas amasque, / Qui vis archetypas habere nugas!



TraduzioneTu mi costringi, Pudente, a correggere le mie poesie con la mia penna, con le mie mani. Quanto mi stimi, quanto mi ami, tu che vuoi avere gli originali delle mie fesserie!
Note92 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVII, 14
Testo originaleAccidit infandum nostrae scelus, Aule, puellae; / Amisit lusus deliciasque suas: / Non quales teneri ploravit amica Catulli / Lesbia, nequitiis passeris orba sui, / Vel Stellae cantata meo quas flevit Ianthis, / Cuius in Elysio nigra columba volat; / Lux mea non capitur nugis neque moribus istis, / Nec dominae pectus talia damna movent: / Bis denos puerum numerantem perdidit annos, / Mentula cui nondum sesquipedalis erat.
Traduzione


TraduzioneAulo, alla mia ragazza è capitata una disgrazia terribile; ha perso la sua gioia, il suo piacere: non quello che piangeva l'amica del tenero Catullo, Lesbia, privata delle malizie del suo passero, non quello pianto da Iantide, cantata dal mio amico Stella, che ha visto la sua nera colomba volare verso i Campi Elisi; il mio amore non si fa prendere da queste piccolezze, da queste abitudini, tali perdite non toccano il suo cuore: ha perso uno schiavetto che aveva vent'anni, che aveva un cazzo lungo poco meno di due spanne.

Note92 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVII, 97
Testo originaleNosti si bene Caesium, libelle, / Montanae decus Umbriae Sabinum / Auli municipem mei Pudentis, / Illi tu dabis haec vel occupato: / Instent mille licet premantque curae, / Nostris carminibus tamen vacabit: / Nam me diligit ille proximumque / Turni nobilibus legit libellis. / O quantum tibi nominis paratur! / O quae gloria! quam frequens amator! / Te convivia, te forum sonabit, / Aedes, compita, porticus, tabernae. / Uni mitteris, omnibus legeris.



TraduzioneSe tu, o mio libretto, conosci bene Cesio Sabino l'onore dell'Umbria montagnosa, il concittadino del mio Aulo Pudente, dagli queste poesie, dagliele anche se ha da fare: anche se lo incalzano e lo opprimono mille pensieri, avrà comunque tempo per le mie poesie; mi vuole bene, mi legge subito dopo aver letto i nobili libretti di Turno. Che fama ti si prepara! Che gloria! Quanti ammiratori! I banchetti, il foro parleranno di te, le case, i crocicchi, i portici, le taverne. Mandato a uno solo, sarai letto da tutti.

Note92 d.C.
PASSO
LocalizzazioneVIII, 63
Testo originaleThestylon Aulus amat, sed nec minus ardet Alexin, / Forsitan et nostrum nunc Hyacinthon amat. / I nunc et dubita, vates an diligat ipsos, / Delicias vatum cum meus Aulus amet.




TraduzioneAulo ama Testilo ma non arde per Alessi di meno amore, e forse adesso ama anche il mio Giacinto. Come puoi dubitare che non ami gli stessi poeti, visto che il mio Aulo ama gli amori dei poeti?
Note93 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIX, 57
Testo originaleNil est tritius Hedyli lacernis: / Non ansae veterum Corinthiorum, / Nec crus compede lubricum decenni, / Nec ruptae recutita colla mulae, / Nec quae Flaminiam secant salebrae, / Nec qui litoribus nitent lapilli, / Nec Tusca ligo vinea politus, / Nec pallens toga mortui tribulis, / Nec pigri rota quassa mulionis, / Nec rasum cavea latus visontis, / Nec dens iam senior ferocis apri. / Res una est tamen: ipse non negabit / Culus tritior Hedyli lacernis.



TraduzioneNulla è più consumato dei mantelli di Edilo: non i manici dei vecchi vasi corinzi, non la gamba lisciata da una catena portata dieci anni, non il collo scorticato di una mula zoppa, non i ciottoli che tagliano la via Flaminia, non i sassolini che luccicano sulle spiagge, non la zappa consumata da una vigna toscana, non la toga pallida di un barbone morto, non la ruota sfasciata di un pigro mulattiere, non il fianco di un visone spelacchiato contro la gabbia, non la zanna ormai vecchia di un cinghiale feroce. Una cosa, però, c'è: nemmeno lui lo negherà, il culo di Edilo è più consumato dei suoi mantelli.
Note

Note94 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIX, 58
Testo originaleNympha sacri regina lacus, cui grata Sabinus / Et mansura pio munere tempia dedit, / Sic montana tuos semper colat Umbria fontes, / Nec tua Baianas Sassina malit aquas: / Excipe sollicitos placide, mea dona, libellos; / Tu fueris Musis Pegasis unda meis. — / 'Nympharum templis quisquis sua carmina donat, / Quid fieri libris debeat, ipse monet'.


TraduzioneO ninfa regina del lago sacro dove, come ringraziamento il pio Sabino ha offerto in dono un tempio che rimarrà, possa l'Umbria montana venerare sempre le tue fonti, possa la tua Sarsina non preferire mai le acque di Baia: accetta volentieri i miei libretti curati, il mio regalo; tu sarai per le mie Muse la fonte di Ippocrene. «Chi regala le sue poesie ai templi delle ninfe, mostra ai suoi libri quale sarà il loro destino».

Note94 d.C.

PASSO
LocalizzazioneIX, 60
Testo originaleSeu tu Paestanis genita es seu Tiburis arvis, / Seu rubuit tellus Tuscula flore tuo, / Seu Praenestino te vilica legit in horto, / Seu modo Campani gloria ruris eras: / Pulchrior ut nostro videare corona Sabino, / De Nomentano te putet esse meo.




TraduzioneNata nei campi di Paestum oppure in quelli di Tivoli, o nella terra di Tuscolo rossa per i tuoi fiori, o colta da una contadina nell'orto prenestino, oppure, ancora, gloria della terra campana: per sembrargli più bella, lascia credere al mio Sabino che tu provenga, corona di rose, dal mio podere nomentano.
Note94 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIX, 74
Testo originaleEffigiem tantum pueri pictura Camoni / Servat, et infantis parva figura manet. / Florentes nulla signavit imagine voltus, / Dum timet ora pius muta videre pater.


TraduzioneIl quadro conserva solo l'immagine di Camonio bambino: rimane soltanto il piccolo volto che aveva da fanciullo. Il padre pietoso non ha fatto dipingere il volto adulto da nessuna immagine: temeva di vederne la bocca silenziosa.


Note94 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIX, 76
Testo originaleHaec sunt illa mei quae cernitis ora Camoni, / Haec pueri facies primaque forma fuit. / Creverat hic vultus bis denis fortior annis, / Gaudebatque suas pingere barba genas, / Et libata semel summos modo purpura cultros / Sparserat: invidit de tribus una soror / Et festinatis incidit stamina pensis, / Absentemque patri rettulit urna rogum. / Sed ne sola tamen puerum pictura loquatur, / Haec erit in chartis maior imago meis.




TraduzioneQuesto che vedete è il viso del mio Camonio, questo il volto di lui fanciullo, il suo primo aspetto. Questo volto era cresciuto forte per vent'anni, la barba dipingeva felice le sue gote — una barba bionda, tagliata una volta soltanto, che aveva cosparso la punta dei rasoi. Provò invidia una delle tre Parche: affrettò il suo compito, tagliò i fili, l'urna funebre rese al padre un rogo vuoto. Per fare che non sia solo il ritratto a parlare di lui bambino, nelle mie poesie rimarrà questo ritratto di lui più grande.
Note94 d.C.
PASSO
LocalizzazioneIX, 81
Testo originaleLector et auditor nostros probat, Aule, libellos, / Sed quidam exactos esse poeta negat. / Non nimium curo: nam cenae fercula nostrae / Malim convivis quam placuisse cocis.


TraduzioneChi legge e chi ascolta le nostre poesie ne rimane soddisfatto Aulo, ma c'è un poeta che dice che i versi non sono perfetti. Il fatto non mi tocca: meglio che le portate della mia cena piacciano non ai cuochi, ma agli invitati.
Note94 d.C.
PASSO
LocalizzazioneX, 12
Testo originaleAemiliae gentes et Apollineas Vercellas / Et Phaethontei qui petis arva Padi, / Ne vivam, nisi te, Domiti, dimitto libenter, / Grata licet sine te sit mihi nulla dies: / Sed desiderium tanti est, ut messe vel una / Urbano releves colla perusta iugo. / I precor et totos avida cute combibe soles, / O quam formosus, dum peregrinus eris! / Et venies albis non cognoscendus amicis / Livebitque tuis pallida turba genis. / Sed via quem dederit, rapiet cito Roma colorem, / Niliaco redeas tu licet ore niger.
TraduzioneTu che vai verso le genti dell'Emilia, verso le Vercelle care ad Apollo, verso i campi del Po dove cadde Fetonte, possa io morire, Domizio, se non ti lascio partire volentieri, anche se nessun giorno mi darà piacere quando non ci sarai: ma tanto è il mio desiderio che tu con una sola estate possa ristorare il collo bruciato dalla dura vita cittadina. Va', ti prego, impregna la tua avida pelle di molto sole — sarai bellissimo fino a che sarai in terra straniera! I tuoi bianchi amici non ti riconosceranno, la pallida folla invidierà le tue guance quando sarai tornato. Ma, anche se tu dovessi ritornare nero come un egiziano, Roma ti toglierà presto il colore che il viaggio ti avrà dato.
Note98 d.C.
PASSO
LocalizzazioneX, 51
Testo originaleSidera iam Tyrius Phrixei respicit agni / Taurus, et alternum Castora fugit hiems; / Ridet ager, vestitur humus, vestitur et arbor, / Ismarium paelex Attica plorat Ityn. / Quos, Faustine, dies, qualem tibi Roma Ravennam / Abstulit! o soles, o tunicata quies! / O nemus, o fontes solidumque madentis harenae / Litus et aequoreis splendidus Anxur aquis, / Et non unius spectator lectulus undae, / Qui videt hinc puppes fluminis, inde maris! / Sed nec Marcelli Pompeianumque, nec illic / Sunt triplices thermae, nec fora iuncta quater, / Nec Capitolini summum penetrale Tonantis, / Quaeque nitent caelo proxima tempia suo. / Dicere te lassum quotiens ego credo Quirino: / 'Quae tua sunt, tibi habe: quae mea, redde mihi'.
TraduzioneIl Toro fenicio guarda dietro di sé la stella dell'Ariete, l'agnello di Frisso, mentre l'inverno fugge i due Gemelli; il prato ride, la terra si riveste, si rivestono gli alberi, la concubina attica piange il tracio Iti. Che giorni, che delizie da ravennati ti ha rubato Roma, o Faustino! Che sole, che dormite con la tunica! O bosco, o sorgenti, o solida spiaggia di umida sabbia, Terracina meravigliosa per le sue acque trasparenti, lettuccio che non guarda verso una onda sola, che da qui vede le navi del fiume, da là quelle del mare! Ma qui non ci sono i teatri di Marcello e di Pompeo, non ci sono le tre terme né i quattro fori collegati, né il sommo tempio di Giove Tonante sul Campidoglio, né i santuari che rifulgono vicinissimi al cielo divino. Eppure mi sembra di averti sentito dire, stanco, a Quirino: «Tieni per te le cose tue: le cose mie, io le rivoglio».
Note98 d.C.
PASSO
LocalizzazioneXI, 8
Testo originaleLassa quod hesterni spirant opobalsama dracti, / Ultima quod curvo quae cadit aura croco; / Poma quod hiberna maturescentia capsa, / Arbore quod verna luxuriosus ager; / De Palatinis dominae quod Serica prelis, / Sucina virginea quod regelata manu; / Amphora quod nigri, sed longe, fracta Falerni, / Quod qui Sicanias detinet hortus apes; / Quod Cosmi redolent alabastra focique deorum, / Quod modo divitibus lapsa corona comis: / Singula quid dicam? non sunt satis; omnia misce: / Hoc fragrant pueri basia mane mei. / Scire cupis nomen? si propter basia, dicam. / Iurasti! nimium scire, Sabine, cupis.

TraduzioneL'odore che spirano i recenti balsami di un vaso di profumi, quello che manda l'ultimo goccio del getto di zafferano; il profumo delle mele che maturano d'inverno nella cassa, quello del campo ricco di alberi primaverili; il profumo delle vesti regali di seta uscite dagli armadi del palazzo, il profumo dell'ambra riscaldata dalla mano di una vergine; quello che viene da un'anfora di scuro Falerno, che s'è rotta lontano, quello di un giardino che attira le api siciliane; l'odore dei vasi del profumiere Cosmo, dei divini altari, della corona appena caduta da una bella chioma... Perché dire le cose una per una? Non basta; mescola tutto: ecco il profumo dei baci del mio ragazzo al mattino. Vuoi saperne il nome? Te lo dirò, ma solo per i baci. Hai giurato. Vuoi sapere troppo, Sabino.

Note98 d.C.
PASSO
LocalizzazioneXI, 17
Testo originaleNon omnis nostri nocturna est pagina libri / Invenies et auod mane. Sabine. legas.


TraduzioneLe pagine del mio libro non vanno lette tutte di notte: ne troverai qualcuna, Sabino, da leggere anche al mattino.
PASSO
LocalizzazioneXI, 21
Testo originaleLydia tam laxa est, equitis quam culus aheni, / Quam celer arguto qui sonat aere trochus, / Quam rota transmisso totiens inpacta petauro, / Quam vetus a crassa calceus udus aqua, / Quam quae rara vagos expectant retia turdos, / Quam Pompeiano vela negata noto, / Quam quae de pthisico lapsa est armilla cinaedo, / Culcita Leuconico quam viduata suo, / Quam veteres bracae Brittonis pauperis, et quam / Turpe Ravennatis guttur onocrotali. / Hanc in piscina dicor futuisse marina. / Nescio; piscinam me futuisse puto.
TraduzioneLidia è larga come il culo di un cavallo di bronzo, come una trottola veloce che risuona di campanellini, come il cerchio poggiato alla testa del saltimbanco, come una vecchia scarpa ammollata nell'acqua densa, come le reti bucate che aspettano i tordi vaganti, come il sipario piegato nel teatro di Pompeo per colpa del Noto, come il braccialetto caduto dal braccio di un culattone tisico, come un cuscino privato della sua imbottitura, come i vecchi pantaloni di un bretone squattrinato, come la gola disgustosa di un pellicano ravennate. Dicono che io me la sia scopata in una piscina di mare. Non so: a me pare di aver scopato la piscina.
Note98 d.C.
PASSO
LocalizzazioneXI, 38
Testo originaleMulio viginti venit modo milibus, Aule / Miraris pretium tam grave? Surdus erat.




TraduzioneHanno appena venduto un mulattiere per ventimila sesterzi Aulo. Ti sembra un prezzo esagerato? Era sordo.
Note98 d.C.
PASSO
LocalizzazioneXII, 51
Testo originaleIam saepe nostrum decipi Fabullinum, / Miraris, Aule? semper homo bonus tiro est.


TraduzioneAulo, ti stupisci che il nostro Fabullino si faccia ingannare così spesso? Un uomo onesto ha sempre molto da imparare.
Note101 d.C.
PASSO
LocalizzazioneXenia (Epigrammata, liber XIII), 21
Testo originaleASPARAGI / Mollis in aequorea quae crevit spina Ravenna, / Non erit incultis gratior asparagis.
TraduzioneASPARAGI. Le tenere spine che crescono nelle paludi di Ravenna non saranno più saporite degli asparagi selvatici.
PASSO
LocalizzazioneXenia (Epigrammata, liber XIII), 69
Testo originaleCATTAE / Pannonicas nobis numquam dedit Umbria cattas: / Mavult haec domino mittere dona Pudens.

TraduzioneGATTE. L'Umbria non mi ha mai mandato le gatte della Pannonia: Aulo Pudente preferisce fare questi doni all'imperatore.
PASSO
LocalizzazioneApophoreta (Epigrammata, liber XIV), 155
Testo originaleLANAE ALBAE / Velleribus primis Apulia, Parma secondis / Nobilis; Altinum tertia laudat ovis.

TraduzioneLANE BIANCHE. La Puglia vince con le lane migliori. Parma con le seconde. La terza pecora loda Altino.

COMPILAZIONE
COMPILAZIONE
Data2011
NomeAssorati G.
AGGIORNAMENTO – REVISIONE
Data2021
NomeParisini S.

ultima modifica: 18/01/2021
fonte

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