Titolo operaCommentarii belli civilis
Anno46 ca. a.C.
Periodoetà delle guerre civili
EpocaRepubblicano
Noteed.: V.A. Sirago (a cura di), C. Giulio Cesare. Opere, vol. II, Napoli 1973 (trad. del curatore).
Testo originaleProfugiunt statim ex Urbe tribuni plebis sesequead Caesarem conferunt. Is eo tempore erat Ravennae exspectabatque suis lenissimis postulatis responsa, siqua hominum aequitate res ad otium deduci posset.
TraduzioneI tribuni della plebe fuggono subito da Roma e si recano da Cesare. Egli in quel momento era a Ravenna e aspettava la risposta [dal Senato] alle sue accettabilissime condizioni, nella speranza che la situazione, con un po' di ragionevolezza, si componesse pacificamente.
Note50 a.C.: Cesare in quel momento è proconsole della Cisalpina.
Testo originale[1] Cognita militum voluntate, Ariminum cum ea legione proficiscitur, ibique tribunos plebis, qui ad eum confugerant, convenit. Reliquas legiones ex hibernis evocat et subsequi iubet. [2] Eo L. Caesar adulescens venit, cuius pater Caesaris erat legatus. Is, reliquo sermone confecto, cuius rei causa venerat, habere se a Pompeio ad eum privati officii mandata demonstrat: [3] «velle Pompeium se Caesari purgatum, ne ea, quae rei publicae causa egerit, in suam contumeliam vertat. Semper se rei publicae commoda privatis necessitudinibus habuisse potiora. Caesarem quoque pro sua dignitate debere et studium et iracundiam suam rei publicae dimittere neque adeo graviter irasci inimicis, ut, cum illis nocere se speret, rei publicae noceat». [4] Pauca eiusdem generis addit cum excusatione Pompei coniuncta. Eadem fere atque eisdem verbis praetor Roscius agit cum Caesare sibique Pompeium commemorasse demonstrat.
Traduzione[1] Conosciuto lo stato d'animo dei soldati, [Cesare] parte per Rimini con quella legione, ed ivi incontra i tribuni della plebe, rifugiatisi da lui. Manda a chiamare le altre legioni dagli alloggiamenti con l'ordine di tenergli dietro. [2] Colà giunse L. Cesare il giovane, il cui padre era luogotenente di Cesare. Questi, terminato il discorso per cui era venuto, aggiunse di avere per lui commissioni confidenziali da parte di Pompeo: [3] «Pompeo voleva giustificarsi con Cesare, perché non volgesse a sua colpa quello che aveva fatto nell'interesse dello stato. Egli aveva sempre posto il bene pubblico al di sopra delle relazioni personali. Anche Cesare, per la sua dignità, avrebbe dovuto deporre passione ed ira per il bene dello stato e non adirarsi coi suoi nemici, tanto da nuocere allo stato, nella speranza di nuocere a loro». [4] Aggiunse ancora poche parole nello stesso tono, insieme con le scuse di Pompeo. Il pretore Roscio trattò con Cesare all'incirca gli stessi argomenti e con le stesse parole, e assicurò che gliele aveva dette Pompeo.
Note49 a.C.
Testo originaleTesto [1] Quae res etsi nihil ad levandas iniurias pertinere videbantur, tamen idoneos nactus homines, per quos ea, quae vellet, ad eum perferrentur, petit ab utroque, quoniam Pompei mandata ad se detulerint, ne graventur sua quoque ad eum postulata deferre, si parva labore magnas controversias tollere atque omnem Italiam metu liberare possint. [2] Sibi semper primam rei publicae fuisse dignitatem vitaque potiorem. Doluisse se, quod populi Romani beneficium sibi per contumeliam ab inimicis extorqueretur ereptoque semenstri imperio in urbem retraheretur, cuius absentis rationem haberi proximis comitiis populus iussisset. [3] Tamen hanc iacturam honoris sui, rei publicae causa, aequo animo tulisse; cum litteras ad senatum miserit, ut omnes ab exercitibus discederent, ne id quidem impetravisse. [4] Tota Italia dilectus haberi, retineri legiones duas, quae ab se simulatione Parthici belli sint abductae, civitatem esse in armis. Quonam haec omnia, nisi ad suam perniciem, pertinere? [5] Sed tamen ad omnia se descendere paratum atque omnia pati rei publicae causa. Proficiscatur Pompeius in suas provincias, ipsi exercitus dimittant, discedant in Italia omnes ab armis, metus e civitate tollatur, libera comitia atque omnia res publica senatui populoque Romano per. Mittatur. [6] Haec quo facilius certisque condicionibus fiant et iure iurando sanciantur, aut ipse propius accedat aut se patiatur accedere; fore uti per conio. quia omnes controversiae componantur.
Traduzione[1] Sebbene questi ragionamenti sembrassero non aver niente a che fare con le soddisfazioni all'ingiustizia subita, tuttavia cogliendo l'occasione di uomini capaci di riferire a Pompeo il suo pensiero esatto, [Cesare] chiede ad entrambi, poiché gli hanno riferito le commissioni di Pompeo, di ben volere riportare a lui anche le sue commissioni, se mai riescono con poca fatica ad eliminare grandi divergenze e a liberare l'Italia tutta dalla paura. [2] Per lui la dignità dello stato è sempre stata innanzi a tutto, superiore alla stessa sua vita. S'era doluto che il beneficio avuto dal popolo Romano gli era stato strappato dai nemici con offesa e, toltogli il comando d'un semestre, veniva richiamato a forza a Roma, mentre il popolo aveva votato negli ultimi comizi che si tenesse conto di lui anche assente. [3] Tuttavia questa offesa alla sua carriera l'aveva sopportata con rassegnazione per carità di patria; ma quando aveva inviato una lettera al senato, con la proposta che tutti si allontanassero dagli eserciti, nemmeno questo aveva ottenuto. [4] Si facevano leve in tutta l'Italia, si trattenevano le due legioni che gli erano state sottratte col pretesto della guerra Partica, la città era in armi. A che miravano tutte queste manovre, se non alla sua rovina? [5] Tuttavia egli era pronto a scendere ad ogni accordo e a soffrire tutto per amor di patria. Se ne vada Pompeo nelle sue province, entrambi congedino gli eserciti, rinuncino in Italia tutti alle armi, si tolga la paura alla città, si permettano al senato e al popolo Romano libere elezioni ed ogni attività politica. [6] Perché questi punti si attuino più facilmente e con sicuri accordi e si sanciscano con giuramento, o venga Pompeo più vicino o permetta ch'egli vada; tutte le divergenze potranno appianarsi con la conversazione.
Note49 a.C.
Testo originale[1] Acceptis mandatis, Roscius a Caesare Capuam pervenit ibique consules Pompeiumque invenit; postulata Caesaris renuntiat. [2] Illi (re) deliberata, respondent scriptaque ad eum mandata remittunt, quorum haec erat summa: [3] Caesar in Galliam reverteretur, Arimino excederet, exercitum dimitteret; quae si fecisset, Pompeium in Hispanias iturum. [4] Interea, quoad fides esset data Caesarem facturum, quae polliceretur, non intermissuros consules Pompeiumque dilectus.
Traduzione[1] Con queste commissioni, Roscio lasciò Cesare e venne a Capua, e qui trovò i consoli e Pompeo; riferisce le richieste di Cesare. [2] Essi, esaminata la questione, rispondono e rimandano a lui commissioni per iscritto, il cui tenore era questo: [3] Cesare tornasse in Gallia, uscisse da Rimini, congedasse l'esercito; se lo facesse, Pompeo sarebbe andato nelle Spagne. [4] Frattanto, finché non si fosse data assicurazione che Cesare mantenesse le promesse, i consoli e Pompeo non avrebbero smesso le leve.
Note49 a.C.
Testo originale[1] Erat iniqua condicio postulare, ut Caesar Arimino excederet atque in provinciam reverteretur, ipsum et provincias et legiones alienas tenere; exercitum Caesaris velle dimitti, dilectus habere; [2] polliceri se in provinciam iturum neque, ante quem diem iturus sit, definire, ut, si peracto consulatu Caesaris non profectus esset, nulla tamen mendacii religione obstrictus videretur; [3] tempus vero conioquio non dare neque accessurum polliceri magnam pacis desperationem adferebat. [4] Itaque ab Arimino M. Antonium cum cohortibus quinque Arretium mittit, ipse Arimini cum duabus subsistit ibique dilectum habere instituit; Pisaurum, Fanum, Anconam singulis cohortibus occupat.
Traduzione[1] Erano condizioni ingiuste, che Cesare uscisse da Rimini e tornasse nella provincia, e Pompeo si tenesse sia le province che le legioni altrui; volere che si congedasse l'esercito di Cesare, e continuare le leve; [2] promettere di andare in provincia, ma non fissare la data di partenza, in modo che, se non fosse partito al finire del proconsolato di Cesare, non sarebbe apparso vincolato da nessuno scrupolo di menzogna; [3] il non fissare una data per il colloquio e non promettere di avvicinarsi non dava alcuna speranza di pace. [4] Pertanto da Rimini invia M. Antonio con cinque coorti ad Arezzo, egli stesso si ferma a Rimini con due ed ivi inizia la leva; con una coorte per parte occupa Pesaro, Fano, Ancona.
Note49 a.C.
Testo originale[1] Interea certior factus Iguvium Thermum praetorem cohortibus quinque tenere, oppidum munire, omniumque esse Iguvinorum optimam erga se voluntatem, Curionem cum tribus cohortibus, quas Pisauri et Arimini habebat, mittit. [2] Cuius adventu cognito, diffisus municipii voluntati Thermus cohortes ex urbe reducit et profugit. Milites in itinere ab eo discedunt ac domum revertuntur. Curio summa omnium voluntate Iguvium recipit. [3] Quibus rebus cognitis, confisus municipiorum voluntatibus Caesar cohortes legionis XIII ex praesidiis deducit Auximumque proficiscitur; quod oppidum Attius cohortibus introductis tenebat dilectumque toto Piceno, circummissis senatoribus. habebat.
Traduzione[1] Frattanto informato che il pretore Termo occupava con cinque coorti Gubbio, [Cesare] fortificava la città e poiché tutti gl'Iguvini nutrivano nei propri riguardi ottima disposizione, invia Curione con le tre coorti che aveva a Pesaro e a Rimini. [2] Conosciuto il suo avvicinarsi, Termo diffidando delle intenzioni del municipio, trae le coorti dalla città e fugge. Curione occupa Gubbio con grande entusiasmo generale. [3] Conosciute queste notizie, Cesare fidando nell'accoglienza dei municipi, trae dai presìdi le coorti della 13a legione e parte alla volta di Osimo; questo paese lo teneva Attio presidiato con coorti, occupato nelle operazioni di leva in tutto il Piceno, per mezzo di senatori mandati in giro.
Note49 a.C.
Testo originaleDuobus his unius diei proeliis Caesar desideravit milites DCCCCLX et notos equites Romanos Tuticanum Gallum, senatoris filium, C. Fleginatem Placentia, A. Granium Puteolis, M. Sacrativirum Capua, tribunos militum quinque et centuriones XXXII.
TraduzioneNelle due battaglie di questo stesso giorno [a Durazzo] Cesare perdette novecentosessanta fanti e noti cavalieri romani, quali Tuticano Gallo figlio del senatore, C. Fleginate di Piacenza, A. Granio di Pozzuoli, M. Sacrativiro di Capua, cinque tribuni militari e trentadue centurioni.
Note48 a.C.
Testo originale[1] Hunc Labienus excepit, ut, cum Caesaris copias despiceret, Pompei consilium summis laudibus efferret, "noli" inquit "existimare, Pompei, hunc esse exercitum, qui Galliam Germaniamque devicerit. Omnibus interfui proeliis neque temere incognitam rem pronuntio. Perexigua pars illius exercitus superest; magna pars deperiit, quod accidere tot proeliis fuit necesse, multos autumni pestilentia in Italia consumpsit, multi domum discesserunt, multi sunt relicti in continenti. An non exaudistis ex iis qui per causam valetudinis remanserunt, cohortes esse Brundisii factas? Hae copiae quas videtis, ex dilectibus horum annorum in citeriore Gallia sunt refectae, et plerique sunt ex coloniis Transpadanis. ac tamen, quod fuit roboris, duobus proeliis Dyrrachinis interiit".
Traduzione[1] Dopo di lui prese la parola Labieno, che esprimendo disprezzo per le truppe di Cesare ed esaltando il piano di Pompeo, così disse: «Non credere, o Pompeo, che questo sia l'esercito che ha piegato la Gallia e la Germania. [2] Partecipai a tutte le battaglie e perciò non parlo sconsideratamente di qualcosa che mi è sconosciuto. Di quel famoso esercito rimane soltanto una minima parte; una parte notevole ha trovato la morte, come era inevitabile, in tanti fatti d'arme, molti hanno dovuto soccombere in Italia per l'epidemia dell'autunno, molti sono tornati alle loro case, molti, infine, sono stati lasciati nel continente. [3] Ma non avete sentito dire che a Brindisi sono state costituite coorti con quelli che erano rimasti là per motivi di salute? [4] Tali unità, che vedete, sono state racimolate con le leve di questi ultimi anni nella Gallia Citeriore e constano per lo più di coloni transpadani. In ogni modo, il nerbo di tutte queste forze è stato distrutto nelle due battaglie di Durazzo».
Note48 a.C.: Labieno era stato fino a poco prima legato di Cesare per la Gallia Cisalpina o Citeriore.
NomeAssorati G.
NomeParisini S.