Laboratorio eliografico Elios
via Testoni 10
Bologna (BO)

Gruppo architetti e urbanisti Città Nuova (Umberto Maccaferri, Gian Paolo Mazzucato) (progetto)


Notizie storiche: progetto e costruzione
Si potrebbe pensare che un laboratorio eliografico, facendo parte delle frequentazioni abituali di un architetto, sia un tema relativamente semplice. In questo caso, però è affrontato da un punto di vista completamente nuovo. Infatti, non si parte direttamente dall’oggetto, ma da un più ampio ragionamento sulla collocazione nel contesto urbano: una stretta via in pieno centro storico, con tutti i problemi di accessibilità connessi. Poi, un ragionamento a misura d’uomo, o meglio l’esperienza diretta della quotidianità del mestiere: la corsa per la copia dell’ultimo minuto, l’impaccio dei rotoli di lucidi e dei pacchi di disegni stampati. Nasce allora l’idea originale, che quasi con affetto risponde al sogno dell’architetto frettoloso: una copisteria... “drive in”! Da questo spunto quasi eversivo si passa all’analisi delle funzioni complesse. Non c’è soluzione di continuità: il flusso dei veicoli e il flusso delle attività di produzione delle copie sono assolutamente congruenti, e trovano materializzazione in una serie di forme curvilinee e sinuose. Queste, a loro volta, facevano parte di un apparato linguistico che Mario Zaffagnini già maneggiava con sicurezza, mai gratuita, pochi anni prima (nella tesi di laurea e poi nella Casa di Cura di Iesi) e avrebbe poi distillato negli interventi più delicati, come le straordinarie scale spiraliformi di alcuni suoi progetti di restauro. Il grande spazio dedicato alla circolazione veicolare veniva ampiamente ripagato dalla fluidità del servizio, che pertanto contraeva i proposti spazi operativi, risparmiando in particolare gran parte della porzione dedicata al pubblico. L’idea non si esaurisce nella pur straordinaria traduzione in pareti curve di calcestruzzo a vista, ma si arricchisce nel rapporto tra portico antistante e cortile interno di attesa delle auto. Qui comandano l’acciaio e il vetro, in un gioco di trasparenze passanti attraverso l’intero spessore del corpo di fabbrica dove ferve l’attività. Elementi ben apprezzabili anche dai clienti in auto, grazie al taglio a tutta altezza della parete vetrata diaframmata da un frangisole in esili elementi verticali in calcestruzzo liscio ritmati da un passo variabile. La tensione non cala nemmeno nei dettagli. Pochi anni prima, nella stessa Bologna antica, Carlo Scarpa aveva evocato la scabra matericità delle torri medioevali, superstiti numerose nel centro storico con una placcatura della facciata in cemento armato a vista solcato dallo stampo delle casserature (Negozio Gavina di Via Altabella, 1961-63). Ma la tessitura mutevole alla luce dei blocchi di selenite è traslata in modo molto più colto ed efficace nel trattamento martellinato delle pareti curve in calcestruzzo del laboratorio eliografico. Altri cammei di bravura sono gli innesti tra balaustre e pareti, o i nodi strutturali della potente struttura metallica impegnata ad ottenere il necessario open space operativo. Anche l’impiantistica a vista che corre sui soffitti e cala sui punti di lavoro diviene lessico architettonico, utilizzato negli anni successivi in altri edifici a destinazione produttiva dei “Città Nuova” e di Mario Zaffagnini in particolare, precorrendo episodi (soprattutto inglesi e francesi) internazionalmente noti. Il progetto vincente fu un’arma a doppio taglio: lo straordinario successo, dovuto anche alla formula funzionale (senza nulla togliere alla capacità dei Gestori, che per tanti anni impressero sulla carta le idee di Mario Zaffagnini!) ben presto richiese l’ampliamento del laboratorio a favore delle strumentazioni, e di conseguenza la necessità di una gestione... appiedata dei clienti. Ma resta il gusto di assaporare la forza di un’utopia che si concretò in fatti efficaci e difendibili, grazie a menti prive di pregiudizi. D’accordo, ad entrare nel drive-in era ancora l’auto “amica” di metà anni ’60, ma questo rimarrà sempre l’atteggiamento logico, aperto e possibilista di Mario Zaffagnini, per cui un problema non si risolve rimuovendolo, ma affrontandolo con la forza del progetto. Ecco perché ancora nei primi anni ’90 (dopo la demonizzazione del veicolo privato, spesso giusta, ma spesso acritica), sostenne che un parcheggio può restituire, o divenire esso stesso, un luogo urbano.

fonte: Michele Ghirardelli - Quaderni di Architettare 02 | Mario Zaffagnini Architetto