carta/ xilografia/ stampa
sec. XIX (1831 - 1832)
La cena pasquale si svolge secondo il Seder di Pesach, l'Ordine di Pasqua, che prevede la consumazione dei pani azzimi, a testimoniare la durezza della schiavitù in Egitto e la difficile conquista della libertà, erbe amare (maror), ad indicare l'amarezza della condizione di schiavi, ed infine il charoset, un impasto di frutta e vino, per ricordare la malta impastata per fabbricare i mattoni del Faraone. Il rito si apre con la benedizione del capo-famiglia sul vino, di cui i commensali bevono un primo sorso. Durante la cena di Pasqua, tutti i commensali sono tenuti a bere almeno quattro calici di vino in ricordo della quattro promesse pronunciate da dio a Mosè sul Sinai: "Io vi farò uscire dal paese d'Egitto, vi libererò dalla schiavitù, vi salverò con il braccio teso, vi prenderò come mio popolo".
Dopo avere intinto le erbe amare nell'acqua salata o nell'aceto ed avere suddiviso i pani azzimi tra i commensali, il capo-famiglia apre la lettura dialogata della narrazione per eccellenza, l'Haggadàh, testo composto da passi dell'Esodo, delle omelia rabbiniche, della Mishnàh e dei Salmi. Il padre di famiglia prendendo un pezzo di pane azzimo dice: "Ecco il pane di miseria che i nostri padri hanno mangiato nel paese d'Egitto [.]". A questo punto il figlio più giovane della famiglia rivolge al padre la seguente domanda: "Perché questa notte è diversa dalle altre? [.]".Il padre risponde narrando della schiavitù e della liberazione dell'Egitto, secondo quanto narrato dall'Esodo. Il momento della lettura dell'Haggadah svolge un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani fedeli, che in questo modo hanno la possibilità di imparare la memoria del proprio popolo prima di raggiungere la maggiorità religiosa. Essendo destinata anche ai bambini, spesso le Haggadot sono decorate con raffinate xilografie raffiguranti le dieci piaghe d'Egitto o il sacrificio d'Isacco, come nell'esemplare, datato 1852 e stampato a Livorno, conservato presso il Museo Interreligioso di Bertinoro. La memoria, dunque, intesa come coscienza profonda del significato degli eventi che hanno portato il popolo di Abramo ad essere il popolo eletto, è una costante del mondo e della cultura ebraica. In tal senso Martin Buber nel 1938 scrisse: "Noi ebrei siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere. Questo [.] vuol dire che da una generazione all'altra viene trasmesso un ricordo la cui portata aumenta sempre più - si accresce costantemente per nuovi fatti accaduti o per nuove emozioni - e che si realizza in modo quasi organico. Questo ricordo è stato una forza che ha sostenuto, nutrito ed animato la stessa esistenza ebraica. [.] Proprio la forza della nostra memoria ebraica collettiva costituisce la vero origine della nostra storia particolare. Poiché il cuore di questa storia non è fatto di eventi oggettivi, ma dalla successione dei nostri essenziali atteggiamenti di fronte a questi eventi, e questi eventi sono il prodotto di una memoria collettiva".