A un secondo impianto, datato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo, appartengono diverse specie esotiche, come le due grandi magnolie poste all’ingresso del giardino, alcuni tassi e i cipressi calvi.
Particolarità:
La villa è un interessante esempio del gusto tardo barocco (barocchetto emiliano). Intorno al grande salone ovale a doppio volume, sovrastato dalla volta ellittica, sono disposti quattro appartamenti, due salette, la cappella e due contrologge. La villa è riccamente ornata di tempere, vedute, decorazioni in stucco e affreschi (Francesco Vellani, Pietro Fancelli), anche se gran parte dell’arredamento è andato perduto. Nei depositi della villa, in attesa della riapertura al pubblico degli spazi espositivi, è conservata una “raccolta del lavoro contadino e artigiano” donata nel 1973 dal pittore e antiquario Celestino Simonini, che comprende oltre 9000 reperti.
Castelfranco Emilia (MO)
Anche nel giardino storico l’impianto originario è molto evidente e permette di suddividere l’area in due zone: quella occidentale, dall’ingresso alla peschiera, risale alla sistemazione settecentesca; quella orientale, oltre la peschiera, è frutto delle modifiche ottocentesche. L’accesso al giardino storico è possibile solo dalla villa, mentre sugli altri tre lati è impedito da canali e laghi. Attraverso l’ampio cancello si accede alla parte più formale del giardino, caratterizzata da due fasce di vegetazione ai lati, lungo i canali perimetrali, e da uno spiazzo prativo centrale solcato da due percorsi in ghiaia: uno più ampio e centrale, in continuità prospettica con le rovine che chiudono il giardino, e uno più stretto che interseca perpendicolarmente il primo. Dal punto di incrocio, segnato da uno spiazzo circolare con quattro grandi cespugli di tasso, prendendo a nord si arriva alla serra, uno splendido edificio in stile neogotico, realizzato nel 1842 su disegno dell’ingegnere bolognese Cesare Perdisa, che è stato restaurato intorno al 1990; nella grande sala interna, illuminata da undici finestre ad arco, un tempo erano ospitati limoni e cedri centenari, oltre a numerose piante ornamentali. Continuando lungo il viale centrale si arriva alla vasca della peschiera, unico manufatto originario dell’impianto settecentesco, oltre la quale si estende il giardino ottocentesco, composto da un’armonica alternanza di canali e specchi d’acqua che disegnano tre isole boscate, attraversate da un reticolo di sentieri tortuosi lungo cui si incontrano le diverse opere realizzate a corredo del giardino romantico. Dalla peschiera hanno inizio due percorsi che esplorano il giardino raggiungendo gli scorci più suggestivi e si ricongiungevano presso l’isola del castello, con l’altura che ospita le finte rovine del maniero. Il sentiero di destra, con una delle deviazioni verso il lago conduce, attraverso un suggestivo passaggio sotterraneo, alle grotte poste sulle sponde del bacino e sormontate dalla terrazza raggiungibile da un sentiero all’esterno; a fianco si trovano i resti, attualmente non accessibili, delle terme (anch’esse opera, come le grotte, del paesista bolognese Ottavio Campedelli). Poco lontano un’isoletta (la cosiddetta “prima isola dei cani”), oggi non più raggiungibile dalle sponde, ospita il monumento a uno dei cani della famiglia. Ritornando sul sentiero principale, nel bosco si incontra una radura con la “capanna del povero romito”, progettata da Brignoli di Brunhoff, un ricovero rustico che nasconde all’interno un inatteso salone ovale un tempo affrescato. Anche il sentiero di sinistra, con una deviazione, raggiunge il lago minore, in corrispondenza della “capanna del pescatore”, un piccolo edificio a pianta circolare, e dei resti di un imbarcadero da cui partivano le gite in barca attraverso il giardino. Una volta tornati sul sentiero principale, si attraversa il bosco e si arriva sulle sponde del lago più grande, dove con un ponticello è possibile raggiungere la “seconda isola dei cani”. I due percorsi laterali, infine, raggiungevano l’altura artificiale con le “rovine medievali” sormontate da due alte torri, composizione del paesista modenese Tommaso Giovanardi.
Il parco restò immutato sino al 1827, quando il conte Cristoforo Sorra Munarini concesse alla moglie, la marchesa Ippolita Levizzani, di trasformare il giardino, ritenuto ormai sorpassato, secondo la nuova moda romantica all’inglese. La riorganizzazione del giardino, che interessò in modo particolare la porzione a est della peschiera, fu affidata al friulano Giovanni Brignoli di Brunhoff, professore di botanica e agraria all’Università di Modena e direttore dell’Orto Botanico, al quale si affiancarono e successivamente subentrarono vari progettisti locali. La realizzazione del giardino, peraltro, fu seguita personalmente dalla marchesa, che se ne occupò sino alla morte (1847). Sotto la sua supervisione i canali da rettilinei divennero sinuosi e i sentieri tortuosi, le isole persero la loro regolarità, furono eliminate le quinte di siepi e gli alberi da frutto per lasciare il posto a zone a prato e a bosco separate da canali e da due laghi di forma irregolare. In mancanza del progetto originario, è di grande importanza la precisa descrizione del giardino, pubblicata nel 1851 sull’Indicatore Modenese, da parte di Carlo Malmusi, possidente terriero e proprietario egli stesso di un “bosco inglese” a Fiorano. Nel raccontare il suo percorso di visita, Malmusi si sofferma sulle caratteristiche botaniche e architettoniche del giardino e presenta i numerosi elementi (rovine, grotte, torri, cippi funerari, statue, imbarcaderi) che rendono quello di Villa Sorra uno degli esempi più significativi di giardino romantico in Emilia e in Italia.
Nel 1869, dopo la morte di Ippolita, gli eredi vendettero la tenuta al modenese Ludovico Cavazza, il cui figlio Ercole dispose che la totalità dei suoi beni fosse destinata alla costituzione di un ente benefico. Nel 1933 nacque così il Pio Istituto Coniugi Cavazza, amministrato dall’Arcivescovato di Modena, che nel 1972 ha ceduto la frazione di proprietà comprendente la villa, il giardino e i poderi San Cristoforo, Conserva e Gruppo, per una superficie complessiva di circa 50 ettari, ai comuni di Modena, Castelfranco Emilia, Nonantola e San Cesario sul Panaro. Divenuto pubblico, il complesso negli ultimi decenni è stato interessato da diversi interventi di restauro che hanno interessato parti della villa e i dipinti ora esposti al palazzo Ducale di Sassuolo, la serra e la copertura delle scuderie.