Giardini Pubblici Margherita Piacenza (PC)
Astorri Enrico
1859/ 1921
monumento commemorativo
Monumento a Giuseppe Garibaldi

bronzo/ fusione,
roccia
cm.
sec. XIX (1889 - 1889)
Il monumento rappresenta Giuseppe Garibaldi, con copricapo e poncho, in piedi su una roccia, con braccia incrociate sul petto e sguardo assorto. Più in basso un soldato si arrapica sulla roccia, col fucile in mano, e sembra incitare al combattimento.

Dopo la morte di Giuseppe Garibaldi, avvenuta il 2 giugno 1882, il suo ricordo era ovunque più vivo che mai. A Piacenza, che l’Eroe aveva visitato due volte acclamato dalla folla e da cui erano partiti diversi volontari al suo seguito, era attivissima la Società Garibaldi Reduci Patrie Battaglie. L’incarico per la realizzazione di un monumento celebrativo in suo onore venne dato ad Enrico Astorri, scultore ampiamente conosciuto, il quale, viste le grandi dimensioni pensate per l’opera, predispose tra il 1888 ed il 1889 un bozzetto in stucco, cartapesta e bronzo, che donò nel 1903 al Museo Civico e che è attualmente esposto presso il Museo del Risorgimento. Il monumento, inaugurato il 2 giugno 1889, ricalca fedelmente il bozzetto.
La rupe alta e rocciosa su cui campeggia solennemente Garibaldi, venne collocata nei Giardini Pubblici in uno spazio a se stante, circoscritto da una sottile ringhiera bloccata da rocce, ma inserito armoniosamente nel contesto naturalistico dei Giardini Pubblici.
Lo studioso Zilocchi così riporta gli avvenimenti relativi alla realizzazione e alla inaugurazione del monumento:
"Già il 6 febbraio la città entrava in clima d’inaugurazione con l’invito di Francesco Salvi (presidente della Società Garibaldi) ai compagni d’armi perché nessuno manchi nel rendere onore al supremo cavaliere dell’umanità, possibilmente in divisa rosso. Il 18 aprile Libertà anticipava un giudizio lusinghiero sull’opera dell’Astorri: Garibaldi appare il generale vittorioso, ma corrucciato di Bezzecca, l’uomo riflessivo che seppe rinunciare alla vittoria, mentre il garibaldino ai piedi delle rupe veniva definito, con graziosa allitterazione, un grintoso grimpeur. A parere del cronista bisognava piuttosto togliere gli inutili e pesanti ciglioni sul perimetro dell’aiuola. Il consiglio comunale, nella seduta del 20 aprile, accoglieva la richiesta di contributo per lire 2.000 avanzata dal comitato onoranze, senza tuttavia ricorrere a nuovi stanziamenti ma decurtando ulteriormente le spese per le feste d’agosto. Dal canto suo, il comitato emetteva azioni che davano diritto ad assistere all’inaugurazione e ad accedere ai luoghi di festeggiamenti. Il programma, fissato per il 2 giugno, ricorrenza della morte, prevedeva: dalle ore 8 alle 9 concentramento nel piazzale della stazione ferroviaria e corteo alla sede del comitato per le onoranze (in via San Donnino 17). Ore 12.30 corteo per porta Nuova, inaugurazione e consegna del monumento all’autorità municipale. Ore 14.30 offerta di una corona d’alloro al busto di Giuseppe Mazzini. Ore 15 banchetto popolare al Politeama. Ore 18 regate nazionali sul Po. A notte: fantastica illuminazione elettrica del giardino, della fontana, di piazze, vie principali, concerti e spettacolo pirotecnico. Fin dal mattino la città è affollatissima, animata, colorata, assolata. Al bastione delle Teresiane sfilano le truppe alla presenza del generale de Sounaz. Il corteo muove puntuale fra le bandiere di una miriade di associazioni civili e le variopinte uniformi di quelle combattentistiche, accompagnato dagli inni di Garibaldi, di Mameli, dalle ripetute note della Marsigliese. Al tocco, sul luogo dell’inaugurazione vengono liberati 50 piccioni viaggiatori, presi in prestito a Parma e Bologna. Tutto è pronto per scoprire il monumento quando, al seguito di due tuoni e lampi improvvisi, si rovescia sulla folla e sulle autorità un poderoso, impietoso, scroscio di pioggia. Si provvede ugualmente con gli spettatori a capo scoperto e le bandiere inchinate. Cala il telo e sale un umanissimo uragano di applausi a coprire quello degli elementi celesti. Un garibaldino, Benvenuto Bruzzi, per eccesso di entusiasmo cade dalla roccia sdrucciolevole del monumento e si ferisce gravemente."
L’atto di consegna venne rogato dal garibaldino notaio Caneva. Fra i tanti telegrammi al sindaco avvocato Achille, uno giunse direttamente da Caprera a firma di Menotti e Stefano Canzio, rispettivamente figlio e genero dell’Eroe.
Astorri rappresenta Garibaldi meditabondo e assorto in un momento particolarmente doloroso e difficile della sua vita: durante la terza guerra d’indipendenza egli si era spinto con i suoi volontari (Corpo volontari italiani) dal territorio bresciano verso Trento, aprendosi la strada il 21 luglio dopo la battaglia di Bezzecca, mentre una seconda colonna italiana, guidata dal generale Giacomo Medici, arrivava il 25 luglio in vista delle mura di Trento.
L’esito negativo della battaglia di Lissa, sconfitta pesante subita dalla Marina il 20 luglio, costrinse la ritirata strategica dal Trentino; il 9 agosto infatti giunse la notizia del prossimo armistizio tra Italia e Austria e con essa l’ordine di Alfonso La Marmora di lasciare la regione; come riportano le cronache del tempo, all’ordine, Garibaldi rispose con il celebre «Obbedisco».
Secondo la maggior parte degli studiosi locali, l’artista ha rappresentato Garibaldi nell’istante in cui, sul campo di battaglia e sicuro della vittoria, riceve l’ordine di ritirarsi dal Trentino e dal Tirolo. Sul suo volto, delineato con tratti marcati e profondi, si legge il tormento di chi è costretto a ubbidire contro la sua volontà e ad attenersi a una decisione che ritiene sbagliata. Alcuni trovano tuttavia contradditorio l’atteggiamento del soldato audace e risoluto che si arrampica sulla roccia e che è ripreso nell’atto del combattimento con il fucile imbracciato.
Probabilmente la spiegazione più ovvia è che il soldato, che rappresenta metaforicamente tutto l’esercito garibaldino, non abbia ancora appreso la notizia dal suo comandante e sia dunque pronto alla battaglia.
La grande accuratezza degli abiti, dei manti e dei copricapi è superata dal profondo verismo che Astorri imprime ai volti dei due personaggi, pieno di forze e di energia quello del soldato, rugoso, stanco, assorto e deluso quello dell’Eroe.