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Il Carnevale in Emilia-Romagna
La ricorrenza del Carnevale ha origini antichissime. Dai riti dionisiaci dell’antica Grecia ai Saturnali dei Romani, questa ricorrenza rappresenta da sempre i simboli della “fine” e del “nuovo inizio”. Nel tempo infatti queste idee sono state interpretate come chiusura e nuovo inizio del ciclo delle comunità, dei lavori agricoli, fino al Carnevale come inizio del periodo di digiuno quaresimale, in preparazione alla Pasqua.
Il Carnevale è una festa che si celebra nei Paesi di tradizione cattolica ed è associato a travestimenti, feste sfrenate, sfilate allegoriche e divertimento, prima del periodo di penitenza della Quaresima. Il temine carnevale infatti deriva dal latino “carnem levare”, ovvero “eliminare la carne”, e fa riferimento al banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale, il martedì grasso, prima del digiuno e dell’astinenza quaresimali.
Le Maschere del Carnevale
Hanno un significato che rimanda solo in parte a questi antichi riti e, per come le conosciamo oggi, sono più una derivazione teatrale. In particolare la Commedia dell’Arte, il teatro popolare e quello dei Burattini, hanno dato vita nel tempo a tipi umani e personaggi che sono entrati a far parte del costume nazionale.
Parliamo di figure per lo più comiche, rappresentate in tutte le aree del territorio nazionale e che hanno dato consistenza a personaggi e modelli di comportamento deprecabili o meritevoli di lode.
Raccontare la storia delle maschere di una determinata zona è quindi anche raccontare la storia dell’umanità che nei suoi pregi e difetti l’ha abitata., ecco le figure più famose del Carnevale dell’Emilia-Romagna
Balanzone
È il più conosciuto dei personaggi tradizionali del Carnevale dell’Emilia Romagna.
Di aspetto gaudente e fisico robusto per non dire grasso, come “grassa” è la sua Bologna, Balanzone rappresenta la più antica Università che ha procurato alla città l’appellativo di “dotta“.
Il personaggio approdato al mondo dei burattini provenendo dalla Commedia dell’Arte sotto le spoglie di: Dottor Violoni detto Forbizzone, Graziano delle Cotiche, Scarpazzone, Campanari, Scatolone, Spaccastrumolo, Bombardone. Balanzone deriva da “bala” (dialettale: menzogna) o da “balanza” (dialettale: grande bilancia), simbolo della giustizia, e dei suoi studi in legge.
A certificare la sua appartenenza all’ateneo più antico d’Europa, egli indossa la divisa dei professori dello Studio di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e mantello.
Fagiolino
L’unica maschera che troviamo esclusivamente tra i burattini. Ha un nome e un “cognome”, Fagiolino Fanfani, maschera attiva a Bologna ad opera del burattinaio Cavazza e che raggiungerà una popolarità maggiore con Filippo Cuccoli e col figlio Angelo. Nasce burattino, definito nelle sue caratteristiche dai Maestri burattinai Cavallazzi e Cuccoli ; rappresenta il monello dei bassifondi della Bologna ottocentesca, sempre affamato, sporco e lacero. Il nome può derivare da “faggio” (il legno del suo bastone) o da “fagiolo“, il legume troppo spesso presente sulle mense povere del popolo. Isabella è sua moglie che lui chiama, con affettuosa insolenza,”Brisabella” (non bella in bolognese). Fagiolino ha un berretto da notte con un grosso fiocco, indossa una giacca corta, cravatta a farfalla e calze bianche a righe rosse.
Sganapino
Il nome per esteso è Sganapino Posapiano Squizzagnocchi o Magnazza. Nasce nel 1877 dalla fantasia del giovane burattinaio Augusto Galli (apprendista di Angelo Cuccoli). Il suo ruolo è quello di spalla di Fagiolino, ma apprezzato per la sua semplicità e simpatia; è un tipo ingenuo e casalingo e perciò si difende con la “granè” scopa che chiama in confidenza Carolina. Sganapino può derivare dalla storpiatura del dialettale “canapia” (il lungo naso che si ritrova) oppure dall’antico “sganapèr” (divorare voracemente).
Sandrone
Maschera modenese raffigurante un contadino grossolano e ignorante. Travagliato nell’animo per l’appartenenza sociale, Sandrone cerca di apparire più istruito di quanto sia. Si sforza di parlare italiano dando vita, però, ad un “pastiche” incomprensibile e senza senso. E’ riconoscibile per il tipico costume composto da una grande giubba scura, sotto la quale porta un gilet a pois ed un berretto da notte a righe rosse e bianche. La sua nascita si attribuisce al burattinaio Luigi Campogalliani (1775 – 1839). Col tempo gli venne affiancata la moglie Pulonia (Apolonnia) e un figliolo Sgurgheguel (Sgorghignello).
Tasi
Tasi è la maschera protagonista del Carnevale di Cento e viene solitamente rappresentato mentre tiene al guinzaglio una candida volpe. La leggenda narra che questo personaggio, messo alle strette e costretto a scegliere tra la moglie e un buon bicchiere di vino, senza pensarci preferì andare subito all’osteria.
Lazzarone
Lazzarone è un quindicenne dei primi del Novecento, nato a San Lazzaro di Savena. La maschera è nata nel 2001 da un’idea del Comune e inventata totalmente dai bambini delle scuole elementari coordinati da Riccardo Pazzaglia che, oltre a dare vita al burattino, lo ha impersonato durante il Carnevale. Il nome, oltre ad avere assonanza con quello della sua città, è un aggettivo dialettale usato bonariamente per indicare i monelli in genere. Ha poca voglia di studiare, sempre pronto a fare marachelle, è molto curioso, per questo ha l’abitudine di fare schizzi e prendere appunti di ciò che vede e sente; frequentatore assiduo della famosa fiera locale.
Berbaspén
E’ la maschera simbolo del Carnevale di Pieve di Cento, un mendicante amante del cibo e del buon vino, un gaudente dispensatore di consigli sui generis per raggiungere la felicità, dalla barba ispida e incolta.
I dolci di Carnevale in Emilia-Romagna
Carnevale, letteralmente «Carnem levare»”, ovvero “senza la carne” è tradizionalmente la festa che precede il lungo periodo di astinenza e digiuno della Quaresima pasquale. E come ogni festa che introduce un periodo austero, il Carnevale è fatto per esagerare, festeggiare, interrompere, nei comportamenti e nella tavola, le nostre abitudini quotidiane.
Ecco alcune delle ricette tradizionali di dolci di Carnevale emiliano-romagnoli :
Sfrappole
O chiacchere e crostoli, Sono tra i più classici dolci di carnevale e, con nomi differenti, sono conosciute in tutta Italia.
Gli storici del gusto dicono che abbiano origini romane, ma ogni regione ed ogni città d’Italia rivendica a sé l’invenzione di questo fantastico e gustoso preparato. .
Tortellioni fritti
“le raviole” o i “tortelloni” fritti di Carnevale, che sono dei tortelli dolci, della stessa forma dei tortelloni classici di sfoglia, appunto, ma ripieni di mostarda bolognese, o di cioccolata o di crema. L’impasto è simile a quello della sfrappole e, come per questo dolce, è fritto e poi ricoperto di zucchero a velo.
Frittelle di Riso
Fanno parte di quella che viene comunemente chiamata la cucina povera e sono di origine romagnola, anche se alcuni dicono che sono proprie del ravennate.
Le cronache tramandano che un tempo in Romagna il riso venisse cotto nel latte e, ciò che avanzava, fosse recuperato per fare questi ottimi dolci. Tradizione o meno, tutte le ricette riportano che nell’impasto ci voglia un goccio di Grappa o Marsala e che vadano servite piuttosto calde, a vostra discrezione se usare strutto o olio.
Tagliatelle fritte
Tradizione vuole che si preparino come le normali tagliatelle, ma cospargendo la sfoglia appena tirata con zucchero e succo di limone o arancia. Vengono fritte e mangiate arrotolate.
Intrigoni
Tipiche del Reggiano, non differiscono molto dalle Sfrappole bolognesi. Sul tagliere si forma la pasta liscia ed omogenee che poi viene tirata in una sfoglia abbastanza sottile. Si taglia poi il tutto con rotella a dentello formando cosi dei piccoli quadrati. Le listarelle che otterrete vanno intrecciate in modo da formare il cosiddetto “intrigòun”.
Castagnole
E’ una ricetta di Pellegrino Artusi che le descrive come “Piatto particolare delle Romagne, specialmente di Carnevale”.
Si preparano impastando alla maniera del pane farina, uova, scorza di limone ed un goccio di acquavite o cognac. Artusi consiglia “ Cotte che sieno le castagnole, spolverizzatele di zucchero a velo e servitele diaccie; ché sono migliori che calde”.
Sgionfini
Tipici del parmense, letteralmente significano “sgonfietti” e sono una sorta di bignè fritto ripieno di crema. La ricetta è decisamente particolare e prevede che facciate bollire l’acqua con burro e sale, aggiungendo farina fino a quando il compito non diventa denso come una pasta. A quel punto basta aggiungere uova, zucchero, scorza di limone e, ovviamente, friggere il tutto. A fine preparazione vanno riempiti con la crema.
La Segavecchia è la festa più antica della città di Forlimpopoli. Alla Segavecchia, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, mito e leggenda si intrecciano con il clima di festa che avvolge la cittadina, tra musiche ritmate, carri allegorici, luci del luna park e prelibatezze culinarie. Un rito di passaggio che con il “taglio della Vecchia”, evento clou dal forte simbolismo, consacra il passaggio dall’inverno alla primavera, portatrice di rinnovamento e prosperità.
Attesissima è ogni anno la sfilata di carnevale che culmina con la premiazione del carro più riuscito; una tradizione che coinvolge tutto il tessuto cittadino con i tanti volontari di associazioni e gruppi di forlimpopolesi impegnati durante l’anno nella preparazione di figure e scenografie sempre originali e scherzose.
La Segavecchia affonda le sue radici nella storia, in un passato fatto di in parte di miti e leggende: sagra contadina vota alla benedizione della terra per il prospero raccolto e alla esorcizzazione del male attraverso il rito della punizione quale via di redenzione e rinascita. Un rito che ha mantenuto nel tempo il suo simbolismo originario.
La leggenda narra che una giovane sposa, trovandosi gravida in tempo di Quaresima, presa da gran voglia di un “salsicciotto bolognese”, e tanta era questa voglia, se lo trangugiò ancora crudo tutto intero; peccato grave per il quale sarebbe stata condannata a morte: morta segata a metà.
Si dice che la giovane, per non farsi riconoscere durante il suo passaggio per le vie del paese, si fosse camuffata da anziana, “vecchia” per l’appunto, sporcandosi il viso di fango, stracciandosi i vestiti e ricoprendosi di stracci, e coprendosi il capo con un fazzoletto.
Giunta al patibolo i “boia” l’aspettavano brandendo un enorme sega da boscaioli, strumento con il quale le fu inflitta la terribile punizione.
La Segavecchia si festeggia anche nella cittadina di Cotignola, in provincia di Ravenna. La leggenda racconta che il Duca di Milano Francesco 1°, figlio di Muzio Attendolo Sforza di Cotignola, avesse concesso ai sudditi la facoltà straordinaria di celebrare il Carnevale anche in Quaresima, come svago e ringraziamento per aver scampato un grave maleficio di cui fu accusata una vecchia, arsa sulla pubblica piazza in un freddo giorno di marzo di oltre cinque secoli fa. Ancora oggi, i cotignolesi, fortemente legati alle origini come tutte le genti di Romagna, ricordano la vecchia con una grande sfilata carnevalesca guidata dall’enorme figura di cartapesta della locale Scuola Arti e Mestieri. Due sono le sfilate: una in notturna, la sera del giovedì, l’altra il pomeriggio della domenica seguente. Ed è al termine della seconda che la “Vecchia” viene condannata, decapitata e quindi bruciata in piazza.
Carlo Piancastelli, nel suo Saggio di una bibliografia delle tradizioni popolari di Romagna, pubblicato nel 1933, enumera una serie di foglietti d’invito alla Segavecchia di Forlimpopoli di cui il più antico risale al 1737 ed il dott. Pietro Reggiani possedeva un disegno di Carlo Cignani (1628-1717), cioè un’impressione colta dal vero: la vecchia, piena di frutta secca viene segata da due popolani in mezzo alla piazza alla presenza di migliaia di spettatori che attendono gaudenti l’uscita «di cuciarùl, dla carabula, dagli avulèni, di figh sech, dal còcal».
Le feste popolari, come si sa, cessano quando cessano le ragioni per cui sono sorte e così la festa che attualmente si celebra solo a Forlimpopoli e a Cotignola, un tempo si celebrava anche in Lombardia, Veneto, Friuli, Toscana, Marche, Lazio, Umbria. In Emilia si festeggiava a Bologna, Modena, Reggio, e Carpi . Per la Romagna si ricorda anche la Segavecchia di Imola, di Bagnara, di Casola Valsenio e la vecchia di Ravenna che veniva esposta in Piazza Maggiore fra aranci e fichi secchi.
Da paese a paese egli cammina portando la baracca sulle spalle, da paese a paese, dalla valle alla collina. E quando incontra un piccolo villaggio, egli si ferma per quei tre marmocchi, chiama Arlecchino che straluna gli occhi per suo vantaggio. Chiama la Reginetta e il suo bel paggio che si facciano ancor qualche moina, e Brighella cuor d’oro e Colombina rosa di maggio; e raccattato qualche buon soldino dal capannel che un poco si dirada, egli continua sull’aperta strada il suo cammino. (Marino Moretti) |
Una piacevole scoperta
Bozzetto
Barbaspén (Barbaspino) – 1982
Pier Achille Cuniberti detto Pirro (1923/ 2016)
Pinacoteca Civica di Pieve di Cento (BO)
Bozzetto per la maschera di Berbaspén.
All’inizio degli anni ’80 all’artista venne dato l’incarico di interpretare in chiave moderna il personaggio di Berbaspén, maschera pievese simbolo del carnevale, che incarna una “arcana figura di buontempone dalla barba ispida e incolta, gaudente e dispensatore di consigli sui generis per raggiungere la felicità” (Borghi G.P. in La donazione Cuniberi alla Pinacoteca Civica di Pieve di Cento, 2002).
La donazione di Pirro Cuniberti è frutto di una lunga e profiqua collaborazione dell’artista con la municipalità di Pieve di Cento.
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Carnevale (Persiceto – 1928) Carnevale San Grugnone – Conselice Carnevale dei fantaveicoli – Imola
Chi cerca trova
Sfidiamo i visitatori ad una caccia al tesoro digitale nei musei dell’Emilia-Romagna, alla ricerca di immagini, oggetti, opere sul tema del Carnevale. Basterà taggare la nostra pagina usando l’hashtag #patercaccialtesoro e il tag alla pagina di IBC Emilia-Romagna..