Attestati dal secolo XI, i Malatesta fondarono il loro potere sugli ampi possedimenti e le giurisdizioni feudali tenute nel contado riminese e nel Montefeltro, facendone la base della loro scalata al potere a Rimini.
Le lotte fazionarie che attraversano la città nel corso del secolo XIII videro protagonista Malatesta da Verucchio, il dantesco ‘Mastin vecchio’, che passato dalla parte ghibellina a quella guelfa ottenne nel 1295 – quasi venti anni dopo il definitivo riconoscimento imperiale del potere del Papa sulla Romagna – la signoria di fatto della città.
Nel corso del Trecento la loro aggressiva politica espansionistica portò i Malatesta a dominare la Romagna orientale fino a Cesena e a Meldola, nonché parte del Montefeltro con San Leo e Pennabilli, e delle Marche settentrionali a Pesaro, Fano, Fossombrone, Senigallia: prima in contrasto con il papa, e poi come suoi vicari, dopo la sconfitta subita a metà secolo dal cardinale Albornoz nel corso della guerra lanciata dalla Chiesa contro il ribellismo signorile nei territori marchigiani e romagnoli.
Si inasprirono allo stesso tempo le lotte con i Montefeltro per il controllo della strategica valle del Marecchia, storica porta d’accesso alla Toscana e alla valle del Tevere, che portarono al rafforzamento dei presidi del casato nella valle, integrati in una rete militare di punti di avvistamento imperniata su Verucchio.
Distaccatosi precocemente il ramo pesarese, dal 1432 i possessi romagnoli del casato furono divisi tra Domenico detto Malatesta Novello, che ebbe l’area ‘cesenate’ – con Meldola, Bertinoro e le preziose saline di Cervia – e il fratello Sigismondo Pandolfo, al quale andarono l’area riminese e fanese.
L’ambizioso progetto di Sigismondo di riunire in un unico stato i domini del casato tra Romagna e Marche, approfittando della prevedibile estinzione dei rami cesenate e pesarese, portò alla realizzazione di imponente sistema fortificato, forte di una ventina di presidi – tra cui Rimini, Verucchio, Montescudo, Pennabilli, Santarcangelo, Sogliano – che segnò l’identità del territorio, accompagnato da interventi di miglioramento della viabilità tra Adriatico, Toscana e Umbria.
Le tensioni generate dai rapporti stretti con Venezia, potenza emergente in Romagna dopo l’annessione di Ravenna, costrinsero però i Malatesta – dopo le sconfitte subite da Sigismondo Pandolfo nel 1462 a opera di Federico da Montefeltro, alleato alla Chiesa – a restituire al papa gran parte dei loro dominii ad eccezione di Rimini e del suo contado prossimo. Fallì anche il tentativo di riottenere i possessi perduti messo in atto negli anni Settanta dal figlio di Sigismondo Pandolfo, Roberto, poi ‘compensato’ con una piccola signoria personale tra Sarsina e Meldola.
Dopo la parentesi del Ducato borgiano di Romagna, a inizio Cinquecento la Chiesa – sconfitte Venezia e la Francia – annesse alla propria compagine statale tutti i territori romagnoli cancellando il sistema dei vicariati signorili, nonostante i tentativi di rivalsa messi in atto ancora negli anni Venti da Pandolfo IV Malatesta e dai suoi eredi.
Il casato si estinse agli inizi del XVIII secolo.
Per saperne di più
Mascanzoni L., Le grandi fasi storiche fra XII e XV secolo nello specchio dei rapporti Verucchio-Rimini, “Studi Romagnoli”, LIV (2003). Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”
Carpegna (di) Falconeri T., La mappa dei poteri fra Rimini e il Montefeltro, atti del Convegno di studi Pier Damiani e il monastero di San Gregorio in Conca nella Romagna del secolo XI, Morciano di Romagna, 27-29 aprile 2007, a cura di N. D’Acunto, Spoleto 2008 (Incontri di studio, 6).
Soranzo G., Malatesta, Enciclopedia Italiana, Treccani, 1934